Si sono svolte alcune selezioni per l’ingresso nelle facoltà universitarie a numero chiuso, ed altre si svolgeranno nei prossimi giorni per altre scuole selettive. La televisione ha inquadrato gli immensi saloni in cui i candidati si sono ritrovati a cimentarsi sui test, alcuni dei quali, pare, del tutto imprevedibili e improbabili. Salta all’occhio con sempre rinnovata sorpresa la sproporzione tra il grande numero degli aspiranti e quello degli ammessi. Per moltissimi giovani la strada che hanno sognato rimane irrimediabilmente sbarrata. Alcuni ci riproveranno l’anno prossimo, altri sceglieranno strade diverse, salvo trovare nei nuovi percorsi altri sbarramenti, più sottili e indiretti: difficoltà di concludere studi non amati e scelti per ripiego, il rischio di non superare esami più impegnativi, la mancanza di motivazione nello studio, fondata sulle minime prospettive di lavoro e sull’inesistente gusto della ricerca scientifica. Umberto Galimberti, in un libro intitolato L’Ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, ravvisa la chiave di spiegazione del disagio giovanile proprio nel nichilismo della attuale cultura. Il loro malessere non sarebbe di natura psicologica, ma culturale. I giovani, secondo Galimberti, non hanno più motivi di fiducia e di speranza per il futuro ed hanno perduto il senso della vita: sia il senso religioso – perché ‘Dio è veramente morto’, dice lui – sia la razionalità illuministica, perché ha fallito tutte le sue promesse di pace e progresso: la ragione non domina la società e la storia. Dentro ai giovani abita ‘l’Ospite inquietante che è il nichilismo’. Mi permetto di dire che non sono per niente d’accordo con questo filosofo giornalista, accusato di aver copiato saggi altrui, e penso che, senza scomodare Nietzsche, la cifra del numero chiuso possa costituire un simbolo più rispondente alla condizione in cui versano attualmente i giovani. Alcuni di loro superano gli ostacoli sopra indicati gettandosi nel lavoro, qualunque sia, cinicamente guardando al profitto come unico traguardo possibile. Insomma, senza essere catastrofisti, molti, a 20-30 anni, si trovano davanti porte chiuse piuttosto che aperte e per giunta vengono chiamati fannulloni. La società, che vuole frenare bullismo e teppismo con la repressione e prevenire con l’educazione (vedi articolo di Mazzotta nell’ultimo numero de La Voce), deve pur domandarsi se non debba fare qualcosa di più per aprirsi alle aspettative dei giovani. Non tanto abolendo il numero chiuso nelle università, ma le chiusure immotivate, determinate da egoismi, da incuria dei poteri forti che curano solo i propri interessi, da ostacoli delle burocrazie e dell’imperizia di politici e istituzioni, e dai giochi degli affaristi di mestiere. Bisogna aprirsi ai giovani e aprire loro spazi che siano adatti a sprigionare intelligenze ed energie. La Chiesa dice loro che Dio non è morto, che è lui l’Ospite invisibile che inquieta, certamente, ma nel senso della ricerca appassionata del bene e del vero. Offre loro ideali non superficiali e impegni concreti, ma dice anche che la società, intendendo il pubblico e il privato, potrebbe offrire di più ai giovani, sperperando di meno e investendo più risorse per dare loro un futuro.
Numero chiuso Porte sbarrate
AUTORE:
Elio Bromuri