Questo numero de La Voce è segnato da alcuni dati che lo rendono speciale. Chiudiamo in redazione il giorno di San Giuseppe, a poche ore di distanza dalla scadenza dell’ultimatum intimato da Bush a Saddam Hussein e quindi dallo scoppio delle prime bombe, a meno che un miracolo straordinario avvenga. Quando il giornale sarà nelle case porterà la data del 21 marzo festa di San Benedetto e saremo nel pieno delle operazioni militari. E ci domandiamo a che servono tanti santi e, soprattutto, a che sono servite tante preghiere, tanti appelli del Papa, tante veglie e marce e manifestazioni? La rappresentazione semplificata delle cose sembra che tutto sia stato giocato dalla caparbietà di due personaggi, ambedue determinati a portare fino in fondo la propria decisione costi quello che costi. E’ una specie di rappresentazione teatrale di un duello combattuto di fronte alla platea del mondo, che applaude o impreca, anzi applaude e impreca, impotente di fare qualsiasi altra cosa, essendo solo semplice spettatore. Ma noi sappiamo che non è così. Quando scoppia una guerra si giunge ad un capolinea che ha già attraversato molti tratti di percorso con tante diverse tappe, ognuna gestita da personaggi diversi, che vanno e vengono sulla scena del mondo. Non c’è bisogno di risalire ad Adamo ed Eva, basta fare qualche ragionamento a partire da mezzo secolo a questa parte e si potrà vedere come le ingiustizie si sono accumulate, i sospetti acuiti, le incomprensioni diffuse, gli antagonismi esasperati. Storici e sociologi hanno fatto analisi puntuali tese ad avvicinare popoli razze religioni e culture. Anche molti capi religiosi illuminati e responsabili a cominciare dal Papa Giovanni Paolo II. Ma sono rispuntate ideologie e fanatismi in Oriente e in Occidente e i due mondi si sono allontanati, con un accentuato senso di sicurezza e di arroganza da una parte, e con un accumulo di risentimento e di odio dall’altra, e con il veleno sparso sulle relazioni internazionali dal ‘bubbone’ mediorientale. Quando la guerra scoppia vuol dire che l’umanità è caduta in basso, è precipitata in un baratro di iniquità oltre che di stoltezza. La guerra quindi non è una partita a due. Vi siamo tutti dentro in un modo o nell’altro, ricordandoci che tutti corriamo alle fonti del petrolio che in prospettiva scarseggerà sempre di più. E tuttavia noi continuiamo a pregare, a sperare, a invocare la divina protezione a manifestare perché siamo convinti di quanto detto sopra, e cioè che tutti possiamo cooperare alla formazione di un’umanità migliore, di un mondo rinnovato dalla spiritualità, dai valori della preghiera, della riconciliazione, della pazienza del perdono della fatica dell’educazione di persone e di popoli, della fiducia nelle risorse della persona umana. Tutto quello che è stato fatto non è caduto nel vuoto se ha seminato pensieri di pace in milioni di persone diverse sparse in tutto il globo e di tutte le stratificazioni culturali e sociali. Il Papa ha perso la battaglia con Bush, ma ha vinto nel cuore della gente, nella delineazione di scenari nuovi e diversi, luminosi per l’umanità. Ha con-vinto gran parte di questa umanità che, si è visto, non accetta più la guerra, la subisce ma non la applaude come una volta. Forse è arrivato il momento che la guerra scompaia dall’orizzonte umano, come è scomparsa la schiavitù e altre piaghe della storia. Questa speranza va alimentata nel cuore dei nostri contemporanei.
Nonostante…il Papa ha vinto
AUTORE:
Elio Bromuri