Il tema di fondo che pervade tutte le letture di questa domenica sono i beni del mondo, cioè le “ricchezze”, nelle quali tanta fiducia viene riposta da tutti noi. Di fatto siamo convinti che i soldi, i beni materiali, le azioni, i titoli onorifici siano un’assicurazione che ci spalanca tutte le porte del potere, ci garantisce tutte le sicurezze umane possibili, ci dà il piacere, il godimento, la capacità di cavarsi tutte le soddisfazioni. Ma è proprio così? Dio non vuole la miseria di alcuno, ma neppure l’accumulo considerato già in se stesso “iniquo”, o il mammona, che è la ricchezza idolatrata. Dice ripetutamente Gesù: “Non potete servire due padroni, Dio e mammona (Mt 6,24, Lc 16,13). (Mammona è parola aramaica per indicare la ricchezza senza misura).
La misura ordinaria del necessario è il possesso equilibrato, sobrio, parsimonioso, che basti al vivere e consenta anche la carità, sapendo peraltro che la misura della carità è il bisogno dell’altro (Paolo VI). La storia della Chiesa è ricca di dibattiti a questo proposito: “Quale ricco mai si salverà?”, scriveva a commento della frase evangelica san Giovanni Crisostomo; “Sorella povertà” gridava san Francesco d’Assisi; voto di “povertà, castità, obbedienza” chiede la Chiesa ai sacerdoti e ai consacrati per essere liberi e testimonianti nel loro servizio. D’altra parte le parole di Gesù sono inequivocabili: “Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio!” (Mt 19,23-24).
È dalla povertà cristianamente intesa, e quindi fatta anche di sobrietà e di parsimonia di possesso, che nasce l’autentica libertà. Il nodo problematico che presentano questa volta a Gesù è una disputa su un’eredità, disputa che vuol coprire in realtà comportamenti di bramosia e cupidigia di possesso. Gesù ovviamente non può essere interessato a questi problemi apparentemente giuridici, ma in realtà cupidinosi.. E lo fa notare con il realismo della vita, parlando dell’arricchito che fa costruire grandi silos per le granaglie accumulate, dicendo poi a se stesso: “Adesso mangia, bevi e datti alla pazza gioia”. Senonché quella stessa notte morì. E tutto il tesoro accumulato a che è servito? Giustamente Gesù conclude: “Così succederà a chi accumula tesori per sé, ma non arricchisce davanti a Dio”. Con la morte, infatti, si lascia tutto, assolutamente tutto: conti in banca, palazzi, quote azionarie ecc., che dinanzi a Dio sarebbero valsi a qualcosa se fossero stati divisi con i poveri o usati a fin di bene. Così serviranno solo agli scialacquatori.
Gesù invece ci invita ad investire le ricchezze, anche legittimamente accumulate nella banca del cielo: non solo sono più sicure, ma “fruttano” di più (Mt 19,21). Si rilegga con attenzione, a questo proposito, il libro del Qohelet, che solitamente tutti giudicano come riflessioni d’un pessimista! Eppure non è così, trattandosi solo d’un realista che, semmai, non sembra conoscere le buone regole di società. Potremmo anche scorrere il Salmo sapienziale n. 49: “Periranno insieme lo stolto e l’insensato, e lasceranno ad altri le loro ricchezze. Non temere se un uomo arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa: quando muore, infatti, con sé non porta nulla, ma scende con lui la sua gloria. Nella prosperità l’uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono”.
Queste riflessioni semplicissime sono un po’ troppo crude per la nostra sensibilità; ma c’è bisogno anche di questi scossoni, che peraltro Gesù stesso ha fatto più volte, per richiamarci a vita più seria. Anche il Siracide biblico ci ricorda realisticamente: Memorare novissima tua et non peccabis, “In ogni cosa pensa al tuo ultimo destino, e non sceglierai il male” (Sir 7,36). In talune chiese medievali sulla parete di controfacciata sono raffigurati proprio i “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso, cioè le ultimissime faccende da sbrigare nel nostro passaggio al cielo di Dio). E questa era una scelta pedagogica molto importante della Chiesa, per ricordare ad ogni cristiano il fine e la fine della sua esistenza terrena.