Non neghiamo la nostra identità di popolo dalle autentiche tradizioni

Perugia ha festeggiato il santo patrono Costanzo

Nella storia della sua festa, San Costanzo non è stato mai rappresentato così massiccio e imponente come appare nel manifesto formato supergigante che è apparso sui muri della città. Attorno al suo ricordo sono rifioriti riti antichi e manifestazioni varie a carattere culturale folkloristico e commerciale realizzate con l’apporto ben combinato del Comune, di operatori privati, della Parrocchia e della Diocesi. La popolazione ha partecipato volentieri e in gran numero anche per la mitezza del clima di queste giornate di tiepido inverno. L’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, nel discorso fatto la sera della vigilia dopo la “luminaria” ha messo in evidenza alcuni pensieri che ha consegnato alla città sia nella sua parte di credenti, sia a coloro che si dichiarano laici. Per comprendere il senso delle parole del Vescovo va ricordato che parlava alla presenza del sindaco Locchi e di una significativa rappresentanza del Consiglio comunale. Tutta la celebrazione, com’è storicamente impostata, presuppone una stretta collaborazione tra comune e diocesi, tra sindaco e vescovo. Diamo una sintesi del discorso di mons. Chiaretti.Il presule si è soffermato molto sul significato del martirio, dicendo che “il martirio suggella la donazione di una vita spesa a servizio degli altri: un servizio all’uomo innanzitutto, che è spirito incarnato aperto alla comunione con gli altri uomini, un servizio che nasce dall’amore insegnato da Cristo sulla croce con linguaggio inequivocabile: il linguaggio della vita donata. Il martirio, che è una caratteristica della chiesa, fa parte della storia cristiana d’un popolo: è diventato cultura. Nella tradizione perugina s’è trasformato addirittura in un “torcolo”, se è vero che questo capolavoro d’arte culinaria sta a ricordare un preciso evento, il martirio del protovescovo, da cui ha preso origine e identità la Perugia cristiana”. “Niente di strano in questo – ha sostenuto mons. Chiaretti -, perché la fede religiosa diventa anche cultura e impregna di sé ogni cosa: si fa scansione del tempo con gli eventi religiosi e le feste, occupazione del territorio con la toponomastica e i luoghi sacri, arte nelle sue svariate espressioni, tradizione e addirittura folklore… Pretendere di cancellare questa segnaletica religiosa trasformando la città in un contenitore asettico, o addirittura in un contenitore areligioso caratterizzato da laicismo e agnosticismo, magari in nome di un preteso rispetto d’altrui convincimenti e d’altre ideologie che si comportano anch’esse come una religione, è operazione di evidente incultura. E’ come un togliersi di dosso la pelle per indossare non si sa bene che cosa, è un negare l’identità culturale di un popolo che è prima di tutto un fatto storico. A questo mi fanno pensare certi singolari e quasi ossessivi comportamenti in ambienti deputati alla cultura o ad elevato contenuto culturale, quali l’eliminazione d’ogni traccia pur vaga di religiosità cristiana diventata ormai tradizione: vedi i crocifissi, che sono pur sempre memoria cruda dell’ingiustizia degli uomini e dell’amore di Dio, o anche i presepi, ricostruzioni fantastiche d’un fatto storico ineludibile, nate proprio dal bisogno tutto umbro di vedere, toccare, sentire… Sia chiaro che la fede non dipende affatto dall’esistenza di questa simbologia. E tuttavia eliminarla in nome di un malinteso rispetto per altre fedi e credenze o d’una laicità che è invece laicismo, è opera di vera ignoranza culturale e sociale”. “C’è da tenere ben altri comportamenti positivi di rispetto e di tolleranza verso tutti, creando più conoscenze e più cultura seria e rispettosa, con processi educativi aperti al dialogo e al confronto, in spirito di collaborazione, lontano da antagonismi diseducativi e da polemiche controproducenti. Questo chiede la vera integrazione culturale e sociale, che non è un negare ma un dare, e direi anche la stessa laicità, che non è irreligiosa e neppure areligiosa, ma seriamente rispettosa d’ogni sentimento religioso autentico. Altrimenti si fa ideologia, non promozione culturale ed integrazione sociale!”. Ha parlato di questi aspetti “perché molto preoccupa questa singolare volontà di negare la propria storia e, in ultima analisi – come egli stesso ha detto -, la propria identità di popolo di autentiche tradizioni anche religiose e culturali”. “Peraltro il martirio per i cristiani non è cosa d’altri tempi – ha concluso l’Arcivescovo -, ma continua anche oggi in ogni parte del mondo: sono missionari e missionarie, volontari e operatori pastorali laici a pagare con la vita la loro fedeltà a Cristo. Nello scorso anno, con uno stillicidio che è di tutti gli anni ma che non trova spazio nei mass media, sono stati ben 33 i missionari uccisi, tra i quali sei italiani, senza contare le vittime di non pochi attentati contro chiese e assemblee di credenti. Essi uniscono il loro sangue a quello di Costanzo e di Ercolano nella speranza che sia, come sempre, ‘seme di cristiani’ anche nella nostra città e diocesi, dove c’è bisogno di ridare un’anima cristiana autentica a certi involucri sacrali vuoti di contenuto”. Le celebrazioni religiose in onore di San Costanzo si sono concluse nella cattedrale di San Lorenzo, con la Messa solenne presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti.

AUTORE: R. L.