Un dibattito sbagliato e dalle conseguenze potenzialmente imprevedibili. Così le associazioni di matrice cattolica e quanti operano nel contrasto alle dipendenze bollano l’iniziativa bipartisan, illustrata il 15 luglio in conferenza stampa a Montecitorio, circa la legalizzazione della cannabis.
Secondo la proposta di legge, che vede promotore l’ex radicale Benedetto Della Vedova, senatore e sottosegretario agli Esteri, la cannabis si potrà vendere nei negozi con la licenza dei Monopòli di Stato, coltivare in casa e fumare in luoghi privati.
In più, non sarà punito il possesso fino a 5 grammi (15 in casa) “per uso ricreativo”, purché si sia maggiorenni. Consentiti, infine, i “Cannabis Social Club” per la coltivazione. Permangono, invece, i divieti per il consumo nei parchi e negli altri luoghi pubblici, come pure per la guida in stato di alterazione.
“È una sconfitta: la legalizzazione moltiplicherà le dipendenze nei nostri giovani”, commenta Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, rimarcandone la posizione “costante” – fin dai tempi del fondatore, don Oreste Benzi – contro ogni droga. “Rendere legale l’assunzione di cannabis diventerà una ‘norma di vita’ che produrrà una ferita ai nostri giovani, che non hanno bisogno di sballo ma di valori, cultura, lavoro, sport”.
Ramonda ricorda che “buona parte di quanti arrivano a dipendenze pesanti sono partiti proprio dalla cannabis”. Mentre il dibattito si anima tra chi ritiene che la legalizzazione rappresenti un favore alle mafie e chi, invece, sostiene l’esatto opposto, il responsabile della Comunità ammonisce che “il mercato criminale non si sconfigge con la legalizzazione, anzi. Lo vediamo con la prostituzione, che laddove è stata legalizzata, come in Olanda, resta comunque appannaggio del mercato criminale, che continua a fare affari”.
No pure alla proposta del leader della Lega, Salvini, di legalizzare la prostituzione. Assurdo – obietta Ramonda – “dal momento che stiamo parlando di violenza ai danni delle donne, di una brutalità bestiale”.
Il quotidiano Avvenire, in un corsivo, mette in luce “la rischiosità di una mossa che ignora le ricadute educative e sociali della cannabis: se resta vietato guidare sotto l’effetto di uno spinello, per dirne una, non sarà che c’è una pericolosa alterazione della psiche?”. Osservando oltretutto che alle “fantasie di 218 parlamentari” non si sono accodati “i quattro quinti dei legislatori”.
“Uno Stato che rende lecito un comportamento dannoso non fa il bene dei propri cittadini, e di questo se ne deve assumere la responsabilità”, annota Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’associazione Scienza & Vita. “Sono noti gli effetti deleteri di questa droga, chiamata falsamente ‘leggera’, e l’espressione ‘per uso ricreativo’ è una ingenuità ipocrita che nasconde dietro alle parole le drammatiche conseguenze del suo uso irresponsabile. Allo stesso modo, liberalizzare tout court evoca un messaggio pericoloso: che la droga non faccia male e che lo spinello, in fondo, sia innocuo. Un conto – prosegue – è prescrivere farmaci cannabinoidi in determinate condizioni di gravi disturbi, tutt’altro è giocare in maniera volutamente ambigua con la scarsa dimestichezza dei non addetti ai lavori, e contrabbandare la cannabis come panacea in grado di curare le più svariate patologie”.
Di proposta “assurda” e “insensata” parla Roberto Mineo, presidente del Ceis “Don Mario Picchi”, organizzazione impegnata nel combattere l’esclusione sociale, in particolare dei giovani. “I veri problemi che il Parlamento dovrebbe affrontare sono altri”, tuona Mineo, chiedendosi se “chi fa questa proposta è consapevole di cosa stiamo parlando. È sempre una droga, e oltretutto non più ‘leggera’. Rispetto alla cannabis degli anni Ottanta – chiarisce – ora il principio attivo è stato geneticamente modificato, per cui gli effetti dannosi sono maggiori, più gravi e permanenti”.
In prospettiva, il presidente del Ceis teme che possa succedere come con la liberalizzazione del gioco d’azzardo. “Abbiamo 1.800.000 giocatori patologici grazie alla liberalizzazione dell’azzardo, con una criminalità organizzata ancora più agguerrita e un costo sociale elevato, e lo stesso accadrà se passa questa sciagurata proposta”.
Contrario è pure don Armando Zappolini, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), poiché “si riporta la discussione su un piano ideologico, distraendosi da quella che è la vera urgenza, ossia mettere mano alle legge quadro sulle droghe, che risale al 1990, mentre oggi ci troviamo di fronte a nuove dipendenze da sostanze, come pure altre che non derivano da sostanze, ad esempio internet e il gioco d’azzardo patologico”. Sono queste, ad avviso del presidente del Cnca, le “vere urgenze che chiedono oggi una risposta”.