La notizia del voto a maggioranza del documento per l’istituzione del Registro comunale di testamenti biologici da parte del Consiglio comunale di Narni mi spinge ad esporre alcune brevi riflessioni su una questione attuale e di grande rilevanza etica e biogiuridica. L’espressione “direttive anticipate” indica la manifestazione di volontà, formulata in un documento scritto, con cui le persone decidono a quali trattamenti sanitari intendono essere sottoposte nell’eventualità di perdita della capacità di autodeterminazione e della possibilità di esprimere direttamente ai medici il proprio volere. Le direttive anticipate non esprimono solo il diniego aprioristico ai trattamenti sanitari: hanno lo scopo di far conoscere le proprie opzioni, sia la richiesta di determinati interventi terapeutici ed assistenziali che il rifiuto di altri; possono anche prevedere l’eventuale donazione di organi, le disposizioni sull’assistenza religiosa e sulle pratiche funerarie, anche la nomina di sostituti fiduciari a rappresentare le proprie volontà nel momento dell’impedimento. Nell’ambito dell’ampia categoria delle direttive è ricompreso il cosiddetto “testamento biologico” il quale è in modo specifico diretto a raccogliere in un documento le volontà espresse in vita relativamente al proprio morire, che solitamente contengono il rifiuto categorico di qualunque intervento medico-terapeutico nella fase terminale di malattia, ed in particolare il rifiuto dei mezzi di sostentamento vitale e di rianimazione, con lo scopo di evitare qualsiasi accanimento terapeutico. Al momento della stesura del documento il dichiarante deve avere la capacità di intendere e di volere per essere in grado di esprimere consapevolmente le proprie scelte terapeutiche e di valutare pienamente le loro conseguenze. Ovviamente allo stato attuale, in assenza di una legge in materia nel nostro ordinamento, le direttive anticipate ed i testamenti biologici non possono avere riconoscimento giuridico, con la conseguenza che la volontà espressa non è vincolante. La decisione sui trattamenti sanitari, tuttavia, può avere un valore sia in quanto espressione di libertà della persona sia come utile supporto per il medico nel valutare l’adeguatezza dei trattamenti al singolo malato. Non possono, però, essere sottaciuti i limiti ed i rischi sottesi che caratterizzato questi documenti. Un primo aspetto è quello della mancanza di attualità delle dichiarazioni espresse in tempi lontani rispetto al momento della sua effettiva eventuale applicazione; l’altro, non meno rilevante, è la difficoltà ad avere certezza che il testante abbia ricevuto una corretta e completa informazione, così da esprimere una volontà veramente libera ed autonoma. Quanto alle dichiarazioni che chiaramente contengono volontà eutanasiche, in contrapposizione ai limiti posti dalla Costituzione e dall’art. 5 del Codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, permane la loro inefficacia giuridica. In un Paese come l’Italia dove l’eutanasia è e rimane reato, non costituisce esimente, sotto il profilo della responsabilità penale, per quanti volessero conformarsi alle volontà espresse nel documento. Non sono nemmeno ammissibili direttive in contrasto con le deontologia medica e con le norme di buona pratica medica, nemmeno le dichiarazioni finalizzate ad imporre al medico atti da lui ritenuti in scienza e coscienza inaccettabili. Ma un’alternativa è possibile e molto ancora culturalmente c’è da fare in questo campo che rappresenta una delle maggiori sfide della nostra società. C. Cardia (Le sfide della laicità) parlando dei malati terminali e delle proposte possibili per venire incontro ai malati in fase terminale afferma che “si può cambiare anche la maniera di legiferare. Invece di proposte che stabiliscono quando sia lecito sopprimere una vita, se ne protrebbero presentare altre fondate sull’opposta domanda: cosa fare per sostenere le esistenze difficili, per alleviare e sconfiggere il dolore, per sostenere i malati terminali…”. Certamente le dichiarazioni anticipate di trattamento esprimono in sostanza una ribellione totale alla medicina tecnologica, e sono conseguenti alla linea di sviluppo del paradigma contrattualistico del rapporto medico-paziente di origine prettamente anglosassone, che ha condotto anche alla promulgazione in alcuni Paesi di leggi regolanti l’eutanasia. Con la buona volontà di tutte le parti in causa, e con una maggiore consapevolezza del valore dell’uomo-persona, si deve invece giungere a privilegiare la linea della comunicazione empatica e riconoscere la necessità che si consolidi la fiducia reciproca nel rapporto medico-paziente, sulla base del principio non del “dovuto”, ma della “buona fede” attraverso il convergere delle reciproche autonomie (Adriano Bompiani, membro del Comitato di bioetica del Consiglio d’Europa).
Non contratti ma empatia
Il Registro dei testamenti biologici: limiti e problemi medici e giuridici.
AUTORE:
Francesca Barone