È il primo brano di una serie di tre episodi che hanno per protagonista Pietro. Qui egli cammina sulle acque incontro a Gesù; più avanti riceve la promessa che lui sarà la roccia di fondamento della Chiesa di Cristo (16,13-20); poi verrà associato a Gesù nel pagamento della tassa per il tempio con una moneta trovata in bocca ad un pesce da lui pescato nel lago (17,24-27). Si ha l’impressione che Gesù, dopo aver descritto la potenza misteriosa del regno dei cieli con i miracoli e le parabole, ora voglia attirare l’attenzione sui suoi seguaci, uomini ai quali ha affidato quel regno sulla terra. Sono persone paurose, vulnerabili, incerte, ambiziose, ma anche capaci di osare, di credere, di amare fino lasciare tutto per Gesù. Insomma, uomini in cammino di fede con pregi e difetti, come noi.
Dopo il miracolo del pane, Gesù congeda la folla, ma “costringe” i suoi discepoli a salire in barca e allontanarsi dal luogo del prodigio. L’evangelista Giovanni ci fa capire che si stanno montando la testa, dopo quel miracolo sbalorditivo. Credono che sia venuto il momento di proclamare Gesù re d’Israele, come era nelle attese popolari (Gv 6,15). Così avrebbero compromesso tutto anzi tempo. La soluzione migliore era spedirli lontano dalla folla entusiasta ed esaltata. Lui si ritira, tutto solo, sul monte a pregare, come ha fatto sempre nei momenti più impegnativi. Da quel monte scenderà solo per soccorrere i suoi in difficoltà sul lago in tempesta. Quel fenomeno naturale era forse lo specchio della tempesta che si agitava nei loro cuori delusi. Gesù verrà a calmare l’una e l’altra tempesta.
Dio non rimane indifferente davanti alle nostre difficoltà, siano esse esteriori o interiori. Anche se apparentemente sembra lontano, come quella barca dalla riva, il nostro grido di aiuto arriva ugualmente ai suoi orecchi. Egli viene a salvarci perché è amico fedele. È ciò che accadde quella notte sul lago. Quando la barca era al centro del lago, lontana da riva, si abbatté all’improvviso su di essa una forte tempesta di vento, come a volte accade anche oggi. La cosa non sembra preoccupare più di tanto gli esperti pescatori, abituati a quei cambiamenti repentini. Ciò che li inquieta è la lontananza di Gesù, solo sul monte, incurante delle loro difficoltà. Era stato lui a costringerli a salpare in modo sbrigativo, come se fosse arrabbiato con loro. Dove e quando l’avrebbero rivisto? Non immaginavano che egli era invece molto vicino.
Gesù è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi, pronto a tenderci la mano nell’ora del pericolo. Non siamo mai soli; ogni assenza di Dio è solo apparente lontananza. Gli apostoli lo hanno sperimentato quella notte per tutti noi. Nella quarta vigilia della notte (tra le 4 e le 6 del mattino), l’ora delle sentinelle del mattino (Is 21,11), ma anche l’ora del canto del gallo, Gesù passa loro accanto camminando sulle onde. Lo intravedono all’incerta luce dell’alba, e si spaventano perché credono di vedere un fantasma. Forse ritornano loro in mente i racconti popolari che, nei paesini della costa, favoleggiavano di morti affogati che talvolta riemergevano di notte a chiedere di non essere dimenticati. Fa impressione sentire quegli omoni robusti gridare di paura come bambini. Gesù li sente e ne prova pena e compassione.
A quel grido di spavento risponde con forza per rassicurarli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Risuona in queste parole il nome sacro del Dio dell’Esodo, che si definiva “Io Sono”, a indicare la sua concreta presenza nella vita della sua gente. Il Dio che aveva salvato gli antichi padri sul Mar Rosso era ora su quel lago nella persona del suo Figlio, come cantava un Salmo dell’Esodo: “Sul mare passava la tua via, il tuo sentiero sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili. Guidasti come un gregge il tuo popolo per mezzo di Mosè e di Aronne” (Sl 77,20). La rassicurazione è sempre la stessa, e risuona in ogni apparizione divina: è un invito a vincere la paura con il coraggio e la fiducia. Negli scritti del Nuovo Testamento ricorre ben 40 volte a dire a tutti che il Dio rivelato da Gesù è il Dio che non punta sulla paura ma sulla fiducia; non intende spaventare nessuno. Pietro è il primo anche questa volta a reagire e chiede di venire incontro a Gesù: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Richiesta subito approvata e caldeggiata da Cristo, che ammira il suo coraggio di uscire dal rifugio sicuro della barca per affrontare le acque agitate del mare aperto.
La vera sequela di Gesù richiede il coraggio del rischio, ma sempre dietro suo comando. Senza il suo invito, sarebbe presunzione e temerarietà. I primi passi di Pietro sono sicuri ed eccitanti, ma ben presto subentra in lui la paura per le onde furiose che lo circondano. Comincia allora ad affondare, perché le onde e la fede non lo reggono più, e grida aiuto al Maestro che cammina sicuro accanto a lui. Gesù gli afferra la mano e gli rivolge un amichevole rimprovero: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Poi salgono insieme sulla barca e il vento immediatamente cessa. Ancora una volta Pietro ci rappresenta tutti, perché anche in noi convivono fede e dubbio, fiducia e paura. Gesù ha scelto proprio lui, che alterna la generosità della fede alla paura fino al rinnegamento, per rassicurarci sui cambiamenti di umore che ci caratterizzano come uomini. Nonostante le nostre debolezze e i nostri limiti, Egli continua ad aver fiducia in noi, ad attendere la nostra maturazione cristiana.
L’episodio poi anticipa il racconto degli Atti degli apostoli, quando Pietro ebbe il coraggio di uscire per primo dalla barca del giudaismo per portare il Vangelo ai pagani della casa del centurione Cornelio di Cesarea, rompendo ogni titubanza, dietro invito di Dio (At 10,17-23). Dovette allora affrontare il rimprovero dei suoi connazionali per il suo ardimento, ma si giustificò dicendo che era stato proprio Dio ad invitarlo a compiere quel passo decisivo verso l’universalità della fede (At 11,1s). Se non l’avesse fatto, avrebbe meritato il rimprovero che Gesù gli rivolse sul lago. Quella lezione era servita. Essa dovrebbe servire a tutti noi, che siamo nella barca di Pietro, per divenire più coraggiosi e intraprendenti nella fede e nell’impegno cristiano. Dovremmo anche noi buttarci fuori della nostra barca di vita comoda e affrontare con coraggio le tempeste della vita. Se rispondiamo all’invito di Gesù, nessun mare è difficile da attraversare. Dovremmo coltivare nel cuore la professione di fede che confessarono i discepoli quando videro che la tempesta era immediatamente cessata: “Davvero tu sei il Figlio di Dio!”.