“Come va dalle vostre parti?”. Una domanda che da ormai quasi sei mesi accompagna la nostra quotidianità. Le “nostre parti” sono quella fetta di centro Italia che si trova ad affrontare una prova umana più complessa del previsto. Un “brutto film” che equivale a realtà, a emergenza, a prospettive future tutte da ripensare e riprogettare.
Il 24 agosto tanti connazionali hanno imparato meglio la geografia di Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria. Tutti ci siamo sentiti un cuor solo con Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto…
Poi, il 26 ottobre il “mostro” è ritornato tra i monti dell’Appennino. E il 30 ottobre la terra si è spaccata con una violenza inaudita, portandosi via quella placidità che abita sui versanti dei Sibillini, generando un terrore che nemmeno i vecchi rammentano, e che vescovi e sacerdoti tentano di arginare con la cristiana speranza: qualcosa di ben diverso dall’“ottimismo”, come ha ricordato ai terremotati Papa Francesco, ascoltando le loro storie e abbracciando, in Vaticano, le loro sofferenze.
Poco più di due mesi, il 18 gennaio, ed ecco arrivare ancora quel sisma bianco con il quale fare i conti è sempre più difficile. Stavolta le quattro “botte” che hanno sconquassato di nuovo questo tratto di Paese già ferito hanno fatto tremare tetti appesantiti dalla furia del maltempo, fatto crollare pezzi di chiese già devastate o stalle ormai completamente inutili.
Il peggio sembrava passato. Nessuno credeva che quel binomio, neve e terremoto, potesse accanirsi verso queste popolazioni già fiaccate da un dramma. Strade rese impraticabili da metri di coltre bianca, frazioni completamente isolate per giorni, elettricità che manca e continua a mancare, bestie – patrimonio vitale di numerose aziende agricole – che muoiono a causa del gelo.
“Come va dalle vostre parti?”. Ogni volta rispondere diventa più arduo. A tratti imbarazzante, perché anche se una casa la possiedi, un lavoro ce l’hai e non hai vittime da seppellire, è impossibile rimanere impassibili di fronte a quello che sta accadendo a pochi passi da qui. Così, la rabbia (o la maleducazione?) che sfocia sul Web lascia spazio alla riflessione.
Pensi che, a differenza di ieri quando esistevano “solo” quotidiani e telegiornali, oggi ci sono i social network e le all news a tempestarci di aggiornamenti in tempo reale, alimentando pathos, polemica, ansia, ma anche a descrivere lo stato dei fatti.
Prendi atto che, se un sisma non si può scientificamente prevedere, una forte perturbazione la si riesce invece ad anticipare. E viene spontaneo immaginare lo sconforto, unito all’amarezza e alla collera, degli allevatori che si sentono abbandonati. Mentre quella parola che rimbalza da una pagina all’altra, “ricostruzione”, si fa sempre più lontana, rallentata dalle procedure.
Resti impietrito, attonito, rendendoti conto che sono le slavine, tanto nel Grasso Sasso quanto a Bolognola (dove già una valanga fece strage anni fa), il terzo atto di una tragedia dai capitoli che si susseguono, con il concreto timore che, dopo le attività produttive classiche, anche il turismo possa subire un danno incalcolabile con ricadute pesanti su tutta l’economia regionale.
“Come va?”. Va male, ma anche bene. Va che le altalene di azioni e termini, di gesti e di espressioni non si arrestano, mostrando al mondo il bello e il brutto del nostro essere. In un commissariato di Osimo, ad esempio, alcuni poliziotti recitano il rosario affinché la vita di un loro collega e quella di sua moglie sia risparmiata. La tv ci offre interviste in cui il rispetto viene sepolto da un’invadenza inaccettabile. Tuttavia, in silenzio, altrove, c’è chi si sta dando da fare per alleviare le pene di quanti in queste ore non riescono a dare un nome al tormento che scivola tra la vita e la morte.
La burocrazia rischia d’impantanare le pratiche per rimettere in sesto capannoni o puntellare le travi, è vero; però ci si inventa soluzioni innovative per non perdere, tra un passaggio e l’altro, i tanti tesori artistici che appartengono a queste terre.
Questa è la realtà attuale, ma accanto al “sistema”, allo Stato, alle istituzioni e alle forze dell’ordine cui spetta il dovere di intervenire tempestivamente (e prevenire con lungimiranza), c’è lo sconfinato mare magnum del volontariato, fatto da quei volti, da quelle mani e da quelle gambe forti che non si tirano indietro ma scommettono la propria, di esistenza, per mettere in salvo quella altrui.
C’è l’opera, troppo spesso maldestra, dell’uomo, e c’è l’inarrestabile corso di Madre Terra, che di colpe non ne ha. C’era il paradiso di Rigopiano fino a poche settimane fa, adesso c’è l’inferno in cui giganteschi eroi contemporanei, che dall’alto sembrano minuscole formiche, scavano instancabilmente per recuperare i dispersi. Ci sono gli esperti del Soccorso alpino e i Vigili del fuoco, veri “angeli protettori della nostra civiltà”, e ci sono Barry e Suleyman, richiedenti asilo che, migrati dalla Guinea e dalla Costa d’Avorio, mettono a disposizione la propria solidarietà per ricambiare agli italiani quella stessa generosità con cui sono stati ospitati.
“Come va dalle vostre parti?”. Forse la replica non è più così scontata e meccanica. Forse non sono sufficienti gli aggettivi o gli avverbi per raccontare quel che davvero accade nella “pancia” della Penisola. Forse l’unica verità è che ci si sente tutti infinitamente piccoli e impauriti, ma anche straordinariamente grandi per reagire innanzi alla volontà di un Creatore a cui affidarsi per non crollare. “Colui che sale sulle montagne più alte, ride di tutte le tragedie” scriveva Nietzsche, ma non è questo il miracolo a cui vogliamo assistere. Con il coraggio della prossimità, e con gli occhi della fede.