di Daris Giancarlini
Dice lo studioso americano John Searle, teorico del rapporto linguaggioistituzioni, che “le società vengono costruite e si reggono su una premessa linguistica: formulare un’affermazione comporta un impegno di verità e correttezza nei confronti dei destinatari”. Se questa premessa non viene rispettata, c’è il rischio concreto che salti la fiducia in un linguaggio condiviso.
In questi giorni in cui i militanti cinquestelle della Puglia bruciano le bandiere del Movimento e i certificati elettorali per protestare contro i loro parlamentari grillini che avevano promesso in campagna elettorale di fermare la costruzione del gasdotto Tap, si ha l’impressione che stiano venendo al pettine i nodi di una propaganda pre-voto del 4 marzo in cui le promesse mirabolanti e inattuabili hanno strabordato il limite della decenza e del buon senso.
“Ho studiato il caso per tre mesi e ho scoperto che fermare la Tap comporterebbe di pagare delle penali altissime” ha detto il capo politico cinquestelle e vicepremier Luigi Di Maio , per giustificare la marcia indietro presso i propri elettori di una regione del Sud dove il Movimento 5 stelle ha preso il 60 per cento dei consensi. Forse sarebbe stato utile, e serio, che Di Maio o chi per lui avesse approfondito la questione nei tre mesi che precedevano la promessa di fermare la costruzione dello stesso gasdotto (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce, basta registrarsi).