“Ero un uomo finito, senza prospettive. Lo studio mi ha ridato energia, voglia di fare ed uno scopo”. Nicola Dettori riassume così, soddisfatto e felice, i suoi ultimi dieci anni di vita. Lui, cinquantenne sardo d’origine, è detenuto dal 2001 nel carcere di Spoleto e da lunedì scorso può fregiarsi a tutti gli effetti del titolo di “dottore in Scienze dei beni storico-artistici”. Si è infatti laureato presso la facoltà di Lettere e filosofia all’Università degli studi di Perugia con una tesi su Il cristianesimo a Orgosolo. Dalle origini fino al secolo XX. Alla discussione della tesi erano presenti il figlio, la sorella e alcuni volontari del carcere, tra cui Rita Cerioni, magistrato amministrativo in pensione che aiuta i detenuti di Spoleto nello studio ed organizza incontri sulla legalità. La storia di Nicola è emblematica. Entra in carcere nel 1995 con una condanna a 25 anni, nel 2001 viene trasferito a Spoleto. “Prima di Spoleto – racconta -, la mia detenzione mi aveva reso un uomo finito. Passavo le giornate senza uno scopo, a giocare a carte. A Spoleto sono rinato: ho cominciato a lavorare nella cucina del carcere e, soprattutto, ho iniziato a studiare, e mi sono innamorato della storia dell’arte, che oggi per me è come una droga”. Dall’arrivo nella struttura umbra, infatti, Nicola ha cominciato un percorso scolastico che lo ha portato a prendere la licenza media, poi il diploma nell’istituto d’arte attivo nel carcere e quindi la laurea. “Sono già pronto a cominciare la specialistica” sottolinea Nicola.
Una storia di passione, quindi, ma anche di tenacia e solidarietà. “Studiare in carcere non è facile – racconta Rita Cerioni – perché tutte le spese sono a carico del detenuto, come i libri e le tasse. Per non parlare poi della burocrazia: anche solo per sostenere un esame ci vogliono permessi su permessi, anche perché i docenti vengono direttamente nell’istituto di pena. Infatti io sono sempre all’opera per trovare libri usati o a buon mercato per i detenuti, soprattutto per quelli che non hanno una famiglia o qualcuno che li sostenga anche economicamente. Nel carcere – continua Rita – c’è una biblioteca, ma è difficilissimo accedervi per i detenuti. È obbligatorio, infatti, che siano accompagnati dal personale penitenziario che, sempre più ridotto a causa dei tagli governativi, basta a malapena per garantire i servizi di base”. La drastica riduzione dei fondi di questi ultimi anni ha reso sempre più difficile la vita nell’istituto di pena.
“Il carcere di Spoleto – racconta Nicola – può ospitare circa 300, 350 detenuti. Quando sono arrivato, una decina di anni fa, eravamo 200. Oggi siamo 700, a fronte di un personale penitenziario di 300 unità. Via via le stanze riservate allo studio sono diventate delle celle e molte attività, come la tipografia o la sartoria, sono state chiuse per mancanza di personale. I tagli negli anni sono stati ingenti: sono state ridotte sensibilmente le ore di lavoro che potevamo svolgere nel carcere, necessarie non tanto per il guadagno, quanto per trascorrere del tempo in maniera attiva, e mancano anche le cose più elementari, come il cibo. Basta pensare che il ministero spende 3 euro al giorno per colazione, pranzo e cena di un detenuto; nei canili 4,50 euro. Scarseggiano sempre più anche le medicine. Dobbiamo ringraziare – conclude Nicola – la generosità dei volontari, come Rita, che ci regalano il loro tempo e il loro aiuto. E la Chiesa che non ci ha mai abbandonati e non ci fa sentire soli”.