Nessuno deve sentirsi tranquillo quando i giovani si nutrono di veleno

Celebrato dal vescovo Chiaretti il funerale della giovane morta per overdose

E’ stato un impatto forte che ha provocato intensi sentimenti quando entrando nel Duomo di San Lorenzo di Perugia si è vista una bara bianca deposta sopra un tappeto rosso in cima alla navata proprio sotto i gradini del presbiterio. Attorno molte persone che sapevano, a cominciare dalla madre della ragazza (18 anni) morta per overdose e i molti amici anche gli amici di sventura, alcuni dei quali non sono proprio abituali frequentatori di chiesa. Un impatto ancora più forte, quasi un pugno sullo stomaco sono state le brevi e nervose parole di don Lucio (Caritas), quando ha preso la parola con il garbo educato e anche troppo formale “Eccellenza siamo venuti qui…” e poi ha continuato “le affidiamo il nostro fallimento…” Parlava del suo fallimento nel tentativo di recuperare una giovane che aveva cominciato a fare i primi passi nel cammino della disintossicazione e del recupero, ma parlava anche del fallimento di una società “assassina” che vende veleno ai più deboli e fragili dei suoi figli. E qui non poteva non inserirsi il vescovo Giuseppe Chiaretti, che dall’alto del suo seggio ha ammonito, richiamato tutti alla responsabilità non nascondendo però anche quella dei soggetti che cercano, non sempre inconsapevolmente, un lento inarrestabile suicidio. Si è domandato: ‘Perché lo fanno?’. Ma anche in questo caso non poteva non dare una risposta del fallimento di una società e in qualche modo anche di una Chiesa che di questa società è parte integrante per l’incapacità a offrire ai giovani punti di riferimento valori e prospettive di vita che possano riempire il desiderio di felicità e la loro ansia di futuro. Insomma, è stato un avvenimento di cui ci si ricorderà e ci si dovrà ricordare e penso che rimarrà nell’immaginario collettivo di chi ha visto, magari solo in tv, la scena di un vescovo solennemente vestito con tutti i segni liturgici del suo grado ministeriale piegato per la benedizione sopra la bara di una giovane morta per droga. E’ lo stesso vescovo che il Giovedì santo si è inginocchiato davanti ad alcuni disabili per lavare loro i piedi, avendo scelto proprio loro per significare da che parte sta la Chiesa e chi vuole additare alla comprensione e al servizio della comunità cristiana e della società civile. Quello che, invece, ha alquanto stupito (non vorrei con questo rovinare una sofferta riflessione con una polemica) è stata non tanto la mancata presenza (non richiesta) delle autorità alla cerimonia in Duomo, quanto alcuni commenti successivi, che hanno dato l’impressione di fastidio. Non dico che qualcuno si sia espresso con lo sbrigativo “se l’è voluto” per la ragazza e “di che s’impiccia il vescovo”. Ma qualcuno gli è andato vicino e comunque è sembrato che il problema non ci sia, che chi di dovere fa il suo dovere onestamente e con professionalità, insomma che va tutto bene e non dobbiamo disturbare chi ha cose importanti da fare. Il fattoBeja è morta di overdose il Giovedì santo. L’arcivescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, ha voluto celebrare il funerale nella cattedrale di San Lorenzo. Attorno alla salma della giovane diciottenne perugina c’erano soprattutto giovani. Hanno voluto dare l’estremo saluto a questa ragazza, conosciuta anche al Centro di Ascolto Caritas, dove l’avevano aiutata ad entrare in una comunità terapeutica. Hanno dettoDon Lucio Gatti, direttore della Caritas perugina”Portiamo oggi, insieme a Beja, tutte le vittime della Settimana santa: a Perugia tre giovani morti per overdose. E’ il nostro fallimento e lo consegniamo a lei perché possa affidare la vita di queste creature nelle mani di Dio, perché abbia misericordia soprattutto di noi assassini, che continuiamo a vendere il “veleno”,… una libertà che ci fa scegliere la morte invece che la vita. Raccomandiamo a Dio l’anima di tutti i giovani, ma soprattutto la responsabilità di un mondo dei grandi, dei potenti, di chi comanda, per essere più vicino a chi invoca, grida aiutatemi. E’ il grido che Beja aveva fatto a noi della Caritas: una corsa verso la vita, ma una resistenza forte come un mare che ci impedisce di essere varcato”. Mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia”Dobbiamo interrogarci tutti, su questo lento suicidio collettivo dei nostri giovani. (…) E’ tempo di chiamare dinanzi al tribunale della storia i “cattivi maestri” che non insegnano la verità, che diffondono modelli di vita menzogneri e deleteri giustificando il vizio, che dicono di voler aiutare e in realtà si servono di poveri ragazzi per altri interessi. E i cattivi maestri si trovano dovunque: sulla strada come nei mass media, all’interno delle istituzioni come nella scuola…. Siamo stanchi dei morti per droga o per suicidi, per incidenti e malanni connessi alla droga! Ogni 84 ore nel solo Policlinico c’è un ricovero per overdose! Non può, e non deve essere permesso che Perugia sia considerata, come sembra e come si scrive, una capitale dello spaccio e del consumo!”. Immacolata, la madre di BejaGrazie “perché avete celebrato in cattedrale il funerale di mia figlia, e questo è per me un onore”. Ha chiesto scusa a Dio quando ha parlato della sua storia, meno dura di quella della sua Beja, ma sempre segnata da un’immensa povertà interiore: “lei ha scelto la via della droga, io, invece, quella della prostituzione venendone poi fuori…”. E nel rivolgersi ai giovani: “non fate scelte come quelle di Beja e la mia, scelte di vita vuote, povere, che annullano fisicamente e interiormente la persona”.

AUTORE: Elio Bromuri