Scendendo dal monte Nebo, dopo averla contemplata come Mosè, Benedetto XVI è entrato nella Terra promessa, dove ha avuto un forte impatto con un tragica ferita della storia, ancora viva nella memoria del popolo di Israele: la Shoah. Papa Joseph Ratzinger, tedesco, ha già vissuto personalmente con particolare intensità, nella visita al campo di sterminio ad Auschwitz (28 maggio 2006), l’umiliazione di appartenere al popolo che fu il principale artefice delle atrocità commesse contro gli ebrei. In quell’occasione osò ripetere il grido da molti rivolto al Cielo: perché, Signore, hai taciuto? ‘Perché hai potuto tollerare tutto questo?’. L’11 maggio, al mausoleo dello Yad Vashem di Gerusalemme, Benedetto XVI ha avuto parole alte e nuove, diverse, con altrettanta intensità ed emozione, concise, pregnanti, immergendosi nell’abissale mistero di Dio che conosce e custodisce ognuno per nome. Yad infatti vuol dire ‘memoriale’, shem significa ‘nome’. All’uomo si possono rubare le cose che possiede, togliere persino la vita, ma nessuno può rubargli il nome: ‘Milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah persero la propria vita, ma non perderanno mai il loro nome’. Oltre che nella memoria dei loro cari, i loro nomi ‘sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio onnipotente’. Il discorso del Papa non è da leggere in chiave puramente consolatoria, ma come un vero e proprio atto di fede comune, ebraica-cristiana, e un comune impegno perché quanto accaduto non si ripeta. Un impegno da prendere ‘oggi’ a difesa di quanti sono soggetti a persecuzioni per causa dell’etnia, del colore, della condizione di vita e della religione. Questo discorso è correlato con l’altro, più ampio e articolato, rivolto ai membri delle Organizzazioni per il dialogo interreligioso nel Centro di NÈtre Dame Jerusalem. Benedetto XVI ha impostato la riflessione su Abramo, la sua fede, la sua storia, nella quale si ritrovano le antiche radici di ebrei, musulmani, e cristiani ed è, in qualche modo, paradigma perenne di una autentica fede religiosa personale. È convinzione del Papa che sia possibile, nella diversità delle religioni, trovare – o meglio, scoprire – un dato di fondo che unisce i credenti e favorisce lo sviluppo culturale dell’intera società. In modo particolare, oggi, nel mondo globale, a coloro che calcano la penna e la voce sulle differenze e paventano la conflittualità tra le religioni e lo scontro delle civiltà, si deve presentare la potenzialità che i credenti hanno di plasmare la cultura in cui si trovano a vivere la loro esperienza religiosa, innestando in essa i principi della trascendenza, dell’amore alla verità, del rispetto per la razionalità. ‘Insieme possiamo proclamare che Dio esiste, e che può essere conosciuto; che la terra è sua creazione; che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e ogni donna ad uno stile di vita che rispetta il suo disegno per il mondo’. La nostra unità per la pace nel mondo non dipende dalla uniformità, perché il superiore senso di ‘rispetto per l’universale, per l’assoluto, per la verità spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra’. Il discorso di Benedetto XVI, articolato e complesso, sulla linea della dichiarazione conciliare sulle religioni Nostra aetate, segna un punto di ripresa del dialogo interreligioso che negli ultimi tempi, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, ha subìto forti ritardi. Se questa prospettiva sarà accolta, aiuterà a vincere le tentazioni ricorrenti in tutte le religioni di chiusura e lettura letteralistica delle proprie sacre Scritture.
Nel nome dell’unico Dio
PAPA IN TERRA SANTA Il confronto con la massima tragedia della storia ebraica. L'appello al dialogo interreligioso
AUTORE:
Elio Bromuri