Violenze contro le donne, ronde contro i romeni: nella capitale e in altre città italiane il clima di insicurezza comincia a farsi pesante, e spesso a farne le spese non sono i reali colpevoli. Ne abbiamo parlato con LÈ QuyÈn NgÈ Dình, responsabile dell’area immigrati della Caritas di Roma. Ronde contro i romeni: perché? ‘Sicuramente l’aumento rilevante di cittadini romeni negli ultimi due anni li espone, ed espone anche la società italiana, ad una realtà diversa. Le ronde indicano una reazione esasperata ad un vuoto: se ci fosse una maggiore presenza dello Stato sul territorio, forse non ci sarebbero. E non credo che l’uso dell’esercito nelle vie del centro serva granché. Ci sono interi territori dello Stato abitati da soli cittadini italiani dove le persone non si sentono al sicuro. Se le situazioni non vengono comprese nel loro insieme e anticipate, rischiamo di avere un giorno una ronda, un altro giorno qualcosa di nuovo e diverso. Il territorio deve essere vissuto e presidiato. Invece ci sono intere zone senza luce, senza servizi. Questo malessere diffuso è da prendere in considerazione. Quello che accade è grave, ma non è con le ronde che si risolve’. Roma è davvero diventata una città meno sicura? ‘Non credo che Roma sia una città particolarmente insicura, se comparata ad altre capitali straniere. Certo, gli ultimi atti di violenza colpiscono molto, e giustamente. Questi elementi non vanno minimizzati. Quando ci sono atti di questo tipo, si risveglia anche un istinto protettivo dei maschi nei confronti delle loro donne. È chiaro che, se aumentano le persone senza lavoro e senza una vita sociale e affettiva stabile, si possono creare degli squilibri che portano a questo. Ma Roma aveva problemi prima, e ce li ha ancora’. Cosa fare? ‘Non giustificare la violazione della legge e la violenza, ma fare attenzione a quando una comunità si allarga, lavorando di più sui processi che connettono piuttosto che su quelli che dividono. Quattro milioni di stranieri in Italia sono un dato di fatto: bisogna trovare per forza dei sistemi per poterli inserire al meglio. Bisogna uscire da questa situazione di falsa enfasi sulla sicurezza. Intorno a Roma il ministro dell’Interno ha finanziato l’apertura di 7 centri che ospitano centinaia e centinaia di persone. Si danno posti letto ma senza preoccuparsi di fare un discorso con il territorio, che fa un’enorme fatica a recepirli, anche perché non ci sono state prime delle risposte concordate. È normale che centinaia di persone nuove vengano vissute come una minaccia, e non come una possibilità di incontro. Posto che la situazione è difficile, a maggior ragione bisogna cercare di lavorare insieme in un clima positivo, consapevoli di tutti i problemi’. Però pare che si vada avanti solo a colpi di slogan… ‘Se ciascuno di noi si chiude dietro le proprie convinzioni e slogan, non c’è dialogo. È essenziale trovarsi d’accordo sull’analisi di una realtà e cooperare. Se la comunità si sfalda, è finita. Noi, come realtà che opera nel sociale, possiamo fungere da ponti per facilitare il contatto tra straniero e comunità di accoglienza. Ma le misure finora non sono mai state concordate. Non esiste una interlocuzione regolare e strutturata con il Governo o con l’Amministrazione capitolina: solo incontri saltuari e senza seguito. Per arrivare a fare qualcosa, bisogna lavorare insieme. Non basta essere chiamati solo quando ci sono le emergenze. Più siamo concreti, più la gente è disposta a farsi sentire. Ma il clima è molto pesante’. Impauriti gli italiani, impauriti gli immigrati… ‘Sì, nella comunità romena c’è paura, soprattutto da parte delle famiglie. Temono che questa situazione possa ripercuotersi sui loro figli. A scuola i bambini a volte non vengono chiamati più per nome ma per nazionalità. E questo è il primo passo verso la deriva. Soprattutto il provvedimento che riguarda i medici e la possibilità di denunciare gli irregolari avrà gravi ripercussioni dal punto di vista culturale: finora era normale dare cure ad un immigrato irregolare. Ora verrà considerata una concessione. Conseguenza concreta: gli immigrati avranno più paura e si recheranno meno negli ospedali, con tutti i rischi del caso. Ma pensiamo davvero che questo aiuti la sicurezza? Non è meglio prendersela con quelli che violentano le donne, piuttosto che con gli irregolari che vanno a farsi curare? La sicurezza dei cittadini non viene messa in pericolo dalla persona malata che va a farsi curare, bensì dal violento che, con o senza permesso di soggiorno, non si contiene e non si riconosce in una comunità, per cui l’aggredisce. Bisogna assolutamente distinguere e far capire ai cittadini: o si riesce a vivere in una comunità che non si chiuda in un piccolo cerchio familiare o amicale, oppure situazioni di questo tipo possono scoppiare’.