In appena un mese l’Umbria ha votato il referendum sulle riforme costituzionali, con una vittoria del no, e si appresta nel mese di gennaio, attraverso una consultazione indiretta (votano solo i consiglieri dei vari Comuni), a scegliere il nuovo governo delle Province, cambiando i consiglieri per quella di Perugia (il presidente Nando Mismetti resta in carica) e sostituendo l’intero Consiglio provinciale a Terni dopo le dimissioni del presidente Leopoldo Di Girolamo.
Il 2016 è stato un anno di crisi a livello istituzionale – le dimissioni dell’assessore Luca Barberini sono rientrate solo dopo quattro mesi di tira e molla all’interno del Pd – e lo stesso Partito democratico si è a lungo diviso in vista del referendum. Gli effetti del sisma e le vicende giudiziarie relative alla Gesenu hanno catalizzato l’attenzione delle istituzioni e dei partiti.
E l’anno che si sta per chiudere – secondo i dati riferiti dall’Istat – è l’anno in cui la povertà è aumentata in maniera esponenziale, con una percentuale di persone a rischio di esclusione sociale del +6,6%, passando dal 21,9% al 28,5%. Un dato molto preoccupante che ha spostato l’Umbria verso il Sud. In un anno il distacco dalla Toscana è passato da 2,7 a 10 punti.
In questo contesto la politica umbra, oltre a dividersi furiosamente per la sorte dei direttori generali delle Asl, come si è mossa? Pare di notare che si navighi a vista per restare in sella. Ma fino a quando? Se il Pd ha mostrato laceranti divisioni tra i sostenitori della Marini e di Bocci, con qualche naturale distinguo, gli altri movimenti del centrosinistra sembrano incarnare solo un ruolo di testimonianza.
Nel centrodestra la situazione è in continua evoluzione, anche in rapporto ai continui cambiamenti in atto a livello nazionale. Nel 2016, anche in Umbria, si è avuto la conferma della liquidità e della velocità con cui le fortune elettorali di un movimento possono evaporare in pochi mesi. Basti ricordare che il progetto del candidato del centrodestra a palazzo Donini, Claudio Ricci, protagonista nella creazione di movimenti civici – una novità nel panorama politico – in poco più di un anno, dopo aver sfiorato la vittoria alla guida della Regione, è praticamente sfumato (basti pensare al tracollo ad Assisi).
È un fatto che in Umbria c’è parecchia insoddisfazione verso l’amministrazione della cosa pubblica. Le cosiddette “rendite di posizione” non esistono più. Le difficoltà nella gestione della piccola Umbria sono palesi; e il progetto sulle macroregioni dovrebbe diventare qualcosa di più di una semplice idea della politica del domani. Il 2016 ha confermato che l’Umbria non ce la fa da sola. Unire le forze e le risorse, magari con Toscana e Marche, può diventare una prospettiva credibile per aiutare la comunità regionale.