Quando crolla un regime totalitario si alza la musica. Per non andare troppo indietro ricordiamo che è successo con la caduta del regime comunista, con l/abbattimento del muro di Berlino. Chi non ricorda il concerto di violoncello solista di Rostropovich? Ed è avvenuto anche con la caduta di Kabul. Le televisioni con enfasi hanno detto che si è ricominciato a sentire musica, magari canzoni americane. Le note volano nell/aria e sono il segno più innocente della libertà. Quando qualcuno arriva al punto di proibire la musica il mondo si fa paradossalmente anche buio. Ma un autore del passato, il Giusti, ci ammonisce. La musica non basta a dare la libertà. Anche i nazisti erano amanti della musica, preferibilmente di quella del Thannheuser di Wagner, senza disdegnare le fughe di Bach e la musica massonica di Mozart. Alla musica si accompagna spesso anche la danza. E, con lo scandalo negli occhi, si è visto un uomo ballare sopra un cadavere. Quando il cuore è corrotto la musica è prostituita e profanata. Deve fare posto al lamento. E noi siamo per domandarci se dopo l/11 settembre e la guerra che ne è seguita sia ancora lecito cantare e ballare, e se non sia l/ora di far cessare #$l/orgia dei buontemponi#$, come recita un Salmo. Dopo Auschwitz alcuni intellettuali si posero la domanda se era più possibile fare della letteratura. Si è continuato, come si continuerà a fare musica, nonostante tutto. Ma almeno ci si ponga la domanda sul senso di questa nostra storia di inizio millennio che ci accomuna in un mondo, reso in breve tempo fragile e impaurito e si vada più in là del pentagramma per capire che cosa sta succedendo. Al di là anche delle barbe che vengono rasate e dei burka deposti da donne che rischiano il disprezzo dei fanatici. Siamo ad un nodo che rischia di far deviare il filo delle azioni. La gente comincia a farsi delle domande impreviste. Si chiede: Dov/è Bin Laden? Il terrorismo era tutto concentrato in Kabul? Quante bande di tribù guerrigliere pronte ad affrontarsi ci sono da quelle parti? L/occidente pensa di rassicurare la gente con la rappresentazione di azioni spettacolari di guerra? Dove ci porta la politica dei Paesi occidentali? Domande senza risposta, mentre commentatori frettolosi cantano dalle colonne di alcuni giornali il peana della vittoria. Speriamo che siano nel giusto e che le loro certezze diventino anche le nostre, quelle di tutti che vogliono la fine del terrorismo, della violenza e della guerra e che tuttavia ancora piangono per la sorte delle vittime innocenti di New York non ripagate dal sacrificio di altri innocenti. Come dice un nostro lettore (pagina due) è tempo di riflettere, riflettere, riflettere e non avere paura di avere motivi di paura, ma cercarne le ragioni, che forse abitano non solo nel lontano Kabul, ma anche più vicino, nei nostri mondi luccicanti del benessere spensierato e senza regole. Nelle scorse settimane si è recata a Kabul una delegazione di donne italiane con il nobile intento di aiutare e liberare le donne schiave dei talebani. Una di esse era rappresentante di una associazione di donne lesbiche. Se questa è la civiltà che esportiamo ritorneranno presto i talebani e si sentiranno autorizzati a imporre la loro legge estrema che arriva ad azzittire persino la musica. La difesa della civiltà occidentale risiede prima di tutto nel rispetto che essa ha di se stessa.
Musica a Kabul
AUTORE:
Elio Bromuri