“Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (7,34), così era stato stigmatizzato Gesù dai benpensanti del suo tempo. A conferma e a smentita di questa diceria, Luca ci racconta l’episodio che abbiamo appena letto. A conferma, perché Gesù accettava volentieri inviti a pranzo, perché amava incontrare le persone dove sono più disarmate e più vere. A tavola si crea quella familiarità e quella confidenza che rende possibile un dialogo amichevole. A smentita, perché non era la voglia di abbuffarsi di cibo o di vino a spingerlo, bensì la necessità di annunciare il suo vangelo in ogni circostanza, specie a chi non frequentava la sinagoga, perché respinto da coloro che si ritenevano giusti. Si trattava di pubblicani e peccatori che si tenevano alla larga, perché si sentivano disprezzati.
La scena comunque si svolge durante un banchetto in casa di un fariseo, cioè di un giusto secondo la stima popolare. Gesù non esclude preventivamente nessuno, come ospite; egli dialoga con qualsiasi padrone di casa. Probabilmente siamo in giorno di sabato. Gesù ha tenuto il suo discorso religioso nella sinagoga del villaggio e un ricco signore, di nome Simone, dopo il rito sacro, lo invita a pranzo. L’ospitalità era sacra, e si riteneva un onore e un merito avere come ospite un rabbi famoso di passaggio; dava lustro alla famiglia. Il pranzo spesso era servito nel cortile interno della casa, che dava sulla strada. Il portone restava aperto e i passanti potevano entrare a curiosare. I commensali era sdraiati su tappeti sostenuti da un cuscino, tutti intorno alla mensa.
È a questo punto che compare un terzo personaggio del tutto inaspettato e tutt’altro che gradito: una peccatrice famosa in paese, forse una prostituta. Sfacciatamente entra in casa e si va ad accovacciare ai piedi di Gesù. Possiamo appena immaginare lo sconcerto e il disgusto del padrone di casa, arroccato nel suo puritanesimo. Lo scandalo si aggrava quando la donna bagna con le lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i suoi capelli sciolti, li unge con un prezioso unguento che ha portato con sé. Non si poteva immaginare una scena più scandalosa. La cosa grave è che il Maestro non reagisce, non dice nulla e lascia fare, mostrando una certa complicità. “Se fosse un profeta – commenta Simone – saprebbe che specie di donna è colei che lo tocca: una peccatrice!”. Ma Gesù è un profeta, checché ne pensi il fariseo: quella donna era già conosciuta da lui prima che facesse il suo ingresso in casa. Non è la prima volta che si incontrano. Essa ha ascoltato da qualche parte la predicazione di Gesù sull’amore e il perdono di Dio, e ora è qui a dire il suo grazie e il suo pentimento per i molti peccati che ha addosso.
Tutto questo Gesù lo dice con la parabola dei due debitori. Con essa Gesù vuole dire al fariseo che tutti siamo debitori davanti a Dio, nessuno è così giusto da non dover chiedere perdono. Certo, siamo variamente debitori, ma sicuramente debitori. È una bella lezione di realismo per il fariseo che si riteneva giusto, come il suo collega della parabola del fariseo e del pubblicano, che Gesù racconterà in una circostanza analoga (Lc 18,9-14). E il bello è che Dio condona a tutti il proprio debito senza chiedere nulla in cambio. Resta solo il debito di riconoscenza, che quella donna mostra di avere in sommo grado, fino a scandalizzare. La riconoscenza poi dimostra la capacità di amare di chi si sente debitore. Chi non sa amare, non sa dire grazie. È proprio qui il contrasto tra i due, il fariseo e la peccatrice, messi a confronto. L’accoglienza di Gesù da parte di Simone è stata educata, ma formale, certamente non calorosa. Ha trascurato i gesti più significativi e preziosi dell’ospitalità: il lavare i piedi polverosi all’ospite, il bacio di amicizia, l’olio profumato versato sul capo a consacrare la stima e il piacere del padrone di casa.
Tutte cose che la donna ha fatto, quasi a riparare l’affronto subito dal Maestro. Gesù trova la ragione di questo atteggiamento esuberante della donna nella sua consapevolezza di essere stata perdonata dai suoi molti peccati, che le pesavano come un macigno sul suore. Ha espresso questa sua riconoscenza-amore, vincendo la vergogna di piangere in pubblico la sua vita sbagliata, di compiere gesti considerati scandalosi, di esporsi al disprezzo dei commensali. C’è voluto un gran coraggio, appunto il coraggio di credere nell’amore di Dio e di ricambiarlo. Perciò Gesù può dire: ‘Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato’. Proprio questo amore coraggioso le ha meritato un grande perdono. Il perdono si ottiene con l’amore, ne è il primo frutto. Dio è amore e nell’amore comunica il suo perdono.
Solo l’amore mette in sintonia con il cuore di Dio. Nella parabola principale della misericordia, il figlio tornato a casa ristabilisce la sintonia col Padre con un abbraccio di amore (Lc 15,20s). Pietro, che se ne intendeva perché aveva pianto anche lui, poteva affermare: “L’amore copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Gesù non afferma soltanto che un grande perdono è frutto di un grande amore, ma anche che un grande perdono produce a sua volta un grande amore. Il perdono è nello stesso tempo effetto e fonte di amore. Perciò può dire al fariseo: “Colui a cui si perdona poco, ama poco”. Chi non ha fatto una vera esperienza dell’amore misericordioso di Dio, ama poco. Non si è reso conto che Dio è amore, e chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.