Qualche settimana fa ho parlato del vezzo italiano di inventare, a ogni cambio di Governo, nuovi nomi – più o meno di fantasia – per i vecchi ministeri. Come quegli spot pubblicitari che lì per lì sembrano chissà che, e poi ti rendi conto che non dicono nulla. È il caso del ministero dell’Istruzione, che adesso si chiama anche “del merito”.
Si sono scatenate polemiche fra quelli per i quali l’innovazione è sacrosanta e quelli per i quali è scellerata. Come spesso accade, lo scontro deriva semplicemente dal fatto che gli uni e gli altri intendono diversamente la parola “merito”, ma nessuno di loro si prende la briga di chiarire l’enigma. Per gli uni, merito nella scuola vuol dire che i voti più alti li prendono i bravi – quelli che studiano, si impegnano e apprendono veramente tutto ciò di cui avranno bisogno nella loro futura professione – mentre gli altri dovranno riparare o cambiare indirizzo di studi. Per gli altri, merito vuol dire che ci sarà una selezione classista per cui i figli dei poveri saranno bocciati (questo veramente sembrerebbe non il merito ma il suo contrario, ma lasciamo stare).
Le due tesi contrapposte vengono sostenute appassionatamente come se questo cambiamento di nome avesse già mutato la realtà, nel bene o nel male. Invece non è vero. Potevano chiamarlo anche ministero della Sublime Perfezione, ma di fatto tutto resta – per ora e chissà per quanto – come prima. Non è cambiata una virgola in quella massa di leggi, regolamenti, circolari, direttive, programmi d’indirizzo, piani d’istituto, che poi alla fine del salmo produce il cento per cento dei promossi all’esame di maturità (o come si chiama adesso).
Solo se e quando il nuovo ministro ci metterà mano – ammesso che ci riesca – si potrà dire che qualcosa sia veramente cambiato e se sia cambiato in meglio o in peggio. Per quanto mi riguarda, ho avuto compagni bocciati già in prima elementare (anno scolastico 1949-50), ma l’ingiustizia non era questa: era che una buona metà degli scolari, non importa se più o meno bravi, non andava oltre la quinta perché, dopo quella, la scuola non era per tutti. Ma grazie a Dio questo non accade più; e non si tornerà indietro, merito o non merito.