Migranti. In una terra che ora è (quasi) casa

Tre migranti con storie personali diverse, che però condividono uno stesso scopo, cioè quello di vedere un cambiamento nelle generazioni future di stranieri, per quanto riguarda i loro diritti di cittadini e di partecipazione alla vita pubblica in Italia. Le storie che riportiamo di seguito sono state raccontate proprio dai protagonisti lo scorso luglio a Terni, nell’ambito di un incontro organizzato dal progetto Voci dal mondo.

Bobby. Le “rivoluzioni” partono da piccoli passi

La prima esperienza personale viene raccontata da Bobby, ragazzo indiano arrivato in Italia all’età di 10 anni e residente a Narni da 17 anni.

Attualmente, studia all’Università di Roma. Secondo lui, i genitori dei migranti hanno costruito le basi, e adesso spetta alla seconda generazione di studenti e lavoratori costruire la casa. In Italia, trenta o quaranta anni fa, era raro vedere le donne lavorare in Comune, alle Poste o nelle banche, oggi è la normalità. Bobby fa una domanda provocatoria al pubblico: “quanti migranti vediamo oggi negli uffici pubblici?”. Il giovane afferma di non averne visto nessuno. Continua dicendo che il primo passo deve avvenire proprio dalla seconda generazione di migranti, i quali devono impegnarsi per ottenere la cittadinanza ed entrare al lavoro negli uffici pubblici. Inoltre, i migranti rappresentano un valore aggiunto per la comunità, e non una cosa negativa. Per vedere un cambiamento, dunque, i migranti devono essere coloro che fanno i primi passi. Come chiusura del suo intervento, Bobby conclude che “le rivoluzioni partono proprio dai piccoli passi”.

Juliana. La tesi per la laurea: “Il velo oscuro delle frontiere”

Il secondo intervento vede come protagonista Juliana, immigrata dal Brasile e residente in Italia da sei anni. Si è laureata in Storia e teologia in Brasile, un indirizzo che non viene riconosciuto in Italia e, dunque, per questo motivo ha dovuto continuare i suoi studi. Ha 39 anni, uno spirito giovane e una grande voglia di fare tante cose.

Abita a Terni con tutta la sua famiglia. Juliana sta scrivendo una tesi intitolata Il velo oscuro delle frontiere, un progetto di integrazione con la partecipazione degli immigrati del Comune di Terni. Ciò che ha spinto Juliana a scrivere questa tesi è la sua esperienza, con le tante sfide e difficoltà da immigrata e una voglia affascinante di scoprire come funzionano le migrazioni in Italia.

Juliana vorrebbe vedere tanti cambiamenti nelle situazioni dei migranti in futuro, come per esempio vedere più persone lavorare negli uffici pubblici. Lei va oltre gli stereotipi, affermando che anche gli immigrati hanno le capacità e le esperienze per svolgere questi tipi di lavori. Per quanto riguarda i suoi piani futuri, vorrebbe lavorare negli uffici pubblici, insieme ad altri migranti presenti nella città di Terni.

Eddy, in Italia dal 1977: non tagliate le vostre radici!

L’ultima storia viene raccontata da Eddy, originario della Nigeria e un vero testimone vivente nel territorio di Terni, poiché ci abita dal 1977.

Quando è arrivato in Italia erano anni di sogni e fatiche. Coloro che arrivavano in Italia erano chiamati “immigrati intellettuali”, immigrati per motivi di studio. In quegli anni gli immigrati non potevano lavorare, dato che non c’era una legge italiana che permettesse a uno straniero di poter lavorare. Questo perché c’erano ancora retaggi delle leggi razziali. È grazie al sindacalista di quei tempi, Carlo Donat-Cattin, divenuto ministro dell’Industria, e promotore della legge 943 del 1986, che finalmente lo straniero poteva intraprendere un’attività lavorativa ed essere equiparato a un italiano occupato, disoccupato o inoccupato. Secondo Eddy, la seconda generazione mette una sorta di paura alla prima generazione poiché i bambini nati in Italia possono essere assimilati, e quindi spogliarsi della propria identità culturale. Ciò che chiede Eddy ai migranti di seconda generazione è di rimanere legati con il cordone ombelicale al proprio Paese di origine. Inoltre, esorta i migranti a lottare per i diritti di cittadinanza, cioè per i diritti all’istruzione, formazione e riqualificazione, e per i diritti di partecipazione alla vita pubblica, cioè, avere il diritto di votare. Eddy, infatti, si chiede “com’è possibile integrarsi nella comunità se non si può scegliere l’amministratore o partecipare al referendum comunale?”. Conclude dicendo che queste sono delle piccole lotte che i migranti devono portare avanti a nome di tutti.

Denisa Ioana

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