Anch’io ho lavorato a lungo, come Gèremek, non alla storia della povertà, ma alla storia del rapporto fra Chiesa e poveri. L’ho fatto durante i dieci anni (1999-2009) nel corso dei quali ho insegnato Teologia II nella Didattica decentrata della Lumsa a Gubbio, sul tema “Chiesa e poveri nella storia”, e ho continuato a lavorarci anche dopo; forgiando anch’io per il mio futuribile parto mentale un titolo che non ha nulla da invidiare (ma – ahimè! – solo nel titolo) a quello cesellato da Gèremek: Un amore lungo e problematico, questo il titolo del mio potenziale libro sul secolare rapporto tra Chiesa e poveri.
Che storia, ragazzi miei!, quella del rapporto fra Chiesa e poveri, che storia!
Ma come fanno, i cristiani, a chiamare “grande storia della Chiesa” quella dei piccoli conflitti di potere tra Imperatore e Papa, angosciante riprova di come il potere troppo a lungo e troppo dannosamente abbia indebitamente intasato la vera storia della Chiesa; o la storia delle dispute teologiche che in realtà erano solo coperture ideologiche di interessi inconfessati, che puntavano – come fece l’antico Giacobbe nei confronti di quel trombone di suo fratello Esaù – a rubarsi questa o quella primogenitura che agli occhi di Dio non valeva nulla? E come fanno gli uomini a chiamare “grande storia” quella della beghe di confine tra nazione e nazione, i cui paletti, come diceva don Milani nella Lettera ai giudici, sono stati sempre in viaggio?
Bah! Anch’io, nel seguire il più fedelmente che mi era possibile l’evolversi delle relazioni fra la Comunità dei discepoli e quei soggetti deboli che il Signore aveva loro affidato come il tesoro più prezioso, insieme con l’eucaristia, mi sono chiesto se esisteva una legge che stringesse o allentasse quel legame, e mi sono piaciuti i termini nei quali l’ha individuata il gesuita Gonzalez Ruiz: quando nella teologia e nella prassi cristiana è vivo e appassionante il tema dell’umanità di Cristo, i poveri sono sul piedistallo, quando invece la teologia devia verso le indagini “scientifiche” sul sesso degli angeli e i cristiani devoti corrono dietro alle apparizioni di san Pisterno da Roccacannucia, i poveri vengono o dimenticati oppure conservati nel retrocucina.
Mi piacerebbe che quel libro venisse pubblicato. E che qualcuno lo leggesse. E che tra quelli che l’avranno letto ce ne fosse almeno uno che si esprimesse come si espresse il prof. Giuseppe Calzoni, allora magnifico rettore dall’Università di Perugia, quel giorno che, a Prevalle, Lina e Carlo Colaiacovo, ex vicepresidente del “mio” Movimento studenti eugubino, vollero che celebrassi la messa del loro 25° di matrimonio. Al termine della messa il Prof mi chiamò da una parte, si grattò la barbicchia, commentò favorevolmente l’omelia che avevo tenuto e concluse: “V’avessi da di’, ’n me pare proprio che sete ’n cojone!”.