Salta subito agli occhi la notevole contrazione dei tempi operata da Luca nei suoi racconti pasquali. Nella lettura del libro degli Atti degli apostoli, che oggi ascoltiamo, la distanza di tempo tra la risurrezione e l’ascensione è fissata in quaranta giorni; nel Vangelo tale distanza sembra accorciarsi nello spazio di un solo giorno interminabile. Esso si apre il mattino molto presto con la visita delle donne al sepolcro, dove due angeli, messaggeri divini in bianche vesti, annunciano loro la risurrezione avvenuta nella notte (Lc 24,1-8); continua con l’annuncio delle donne ai discepoli increduli, con la visita di Pietro al sepolcro vuoto, con l’incontro del Risorto sulla strada di Emmaus, e sembra terminare con l’apparizione di Gesù agli apostoli nel cenacolo, la sera molto tardi.
Senza tener conto della notte ormai inoltrata, Luca racconta che il Risorto conduce gli apostoli fuori Gerusalemme, verso Betania e, sul monte degli Ulivi, sale al cielo davanti ai loro occhi ancora frastornati dalla visione pasquale. Con questa visione, più teologica che cronologica, l’evangelista vuole sottolineare che quello della risurrezione è il grande “giorno di Dio” senza tramonto, l’oggi della salvezza cristiana che dura ancora. Egli non fa che riprodurre la liturgia cristiana delle origini che celebrava la Pasqua come la dies dominica , la “domenica”, unico e fondamentale giorno di festa (Ap 1,10). Nello spazio liturgico di questa giornata di festa settimanale, la Chiesa apostolica concentrava la memoria di tutte le apparizioni del Risorto disseminate nei quaranta giorni di permanenza di Gesù sulla terra dopo la sua risurrezione, prima della sua ascesa al cielo.
Luca ci testimonia questa pagina di storia, inserita nella liturgia eucaristica che si celebrava nelle Chiese dell’Asia. L’eucaristia affiora nei due racconti di apparizione che hanno come centro il pasto, dove Gesù è riconosciuto nello spezzare il pane, e dove certifica la realtà del suo corpo umano risorto mangiando una porzione di pesce davanti ai discepoli, che stentano a credere perfino ai loro occhi. Riportando il racconto dell’ascensione di Gesù a conclusione dei suoi racconti pasquali, l’evangelista completa la visione della glorificazione del Figlio di Dio. Per i Vangeli l’esaltazione, la risurrezione e l’ascensione sono tre modi diversi per esprimere lo stesso mistero di Cristo. L’esaltazione completa il cammino dell’incarnazione, quando Gesù, pur essendo di natura divina, aveva svuotato se stesso della sua gloria ed era divenuto uomo umiliato fino alla morte di croce. Perciò Dio lo aveva esaltato al di sopra di tutti, in modo che ogni ginocchio si pieghi innanzi a lui in cielo, sulla terra e sotto terra (Fil 2,6-11).
Questo è il momento della sua intronizzazione a Re e Signore dell’universo. Lo dichiariamo nel credo quando diciamo: “salì al cielo, siede alla destra del Padre”. Un’espressione che riproduce la confessione finale del Vangelo di Marco: “Fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). L’evangelista Giovanni vede nascosta questa glorificazione tra le pieghe della passione quando parla di “esaltazione” del Figlio dell’uomo. Infatti per lui l’innalzamento di Cristo sulla croce è il primo gradino della sua ascensione al Padre, il simbolo della sua esaltazione alla destra di Dio. Gesù ha iniziato a salire in cielo quando è stato issato sulla croce, tra cielo e terra. Dicevamo che il Vangelo di Luca oggi unisce insieme risurrezione e ascensione in un unico evento celebrativo. In realtà la risurrezione di Cristo è il suo ingresso nel mondo di Dio in anima e corpo. Gesù, appena risorto, invita la Maddalena, avvinghiata ai suoi piedi, a non trattenerlo, “perché ” dice ” non sono ancora salito al Padre; va’ piuttosto dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).
L’ascensione non è tanto uno spostamento fisico di Gesù dalla terra (in basso) al cielo (in alto), quanto un cambiamento di condizione. Gesù passa dalla situazione umana a quella divina anche con il suo corpo, divenuto perciò immortale, perché totalmente pervaso di gloria divina. Dal momento della risurrezione, Gesù è entrato nel mondo di Dio e non è più soggetto alle leggi umane naturali. Può apparire e scomparire, farsi riconoscere e passare inosservato; il suo corpo storico è trasfigurato, perché è passato dalla condizione di uomo alla condizione propria di Dio. Allora il suo staccarsi da terra e il suo ascendere definitivamente al cielo segna solo la fine ufficiale delle sue apparizioni ai discepoli. D’ora in poi tornerà solo per giudicare il mondo alla fine dei tempi (At 1,11). Resta pur sempre difficile per noi esprimere in linguaggio umano una realtà che non appartiene al nostro mondo. Siamo costretti a balbettare, quando parliamo di cose che sfuggono alla nostra esperienza empirica; corriamo perciò il rischio di essere imprecisi e approssimativi.
Luca è costretto, come noi, a usare un linguaggio che è quello delle apparenze. Nei due racconti che oggi leggiamo, parla perciò di Gesù che “si staccò da loro e fu portato verso il cielo” (Lc 24,51) e “fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo” (At 1,9). Umanamente non si può descrivere l’Ascensione, se non come uno spostamento dalla terra al cielo, un salire da questo nostro mondo terreno a quello divino. In realtà, dal punto di vista divino, le cose stanno in maniera diversa, come dicevamo. La solennità di oggi, pur nell’apparente semplicità narrativa, contiene alcuni insegnamenti pratici per noi seguaci di Gesù.
Percorrendo simbolicamente tutte le regioni del mondo (la terra, gli inferi e i cieli), egli è divenuto Signore universale della creazione. La sua salvezza è entrata nel cuore del creato. Col suo ritorno al Padre, Gesù ha ricevuto “ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18), un potere sovrano salvifico a favore di tutti gli uomini, un potere trasmesso alla Chiesa, inviata a continuare la sua missione nel mondo. Tutti gli uomini appartengono ormai a lui, nessun gli è estraneo e può sentirsi escluso dalla salvezza. Noi battezzati siamo con lui risorti e con lui potenzialmente glorificati (Rm 8,30). Egli, come primogenito dei morti, è andato a preparaci un posto. Quella è la meta delle nostra vita, ad essa dobbiamo tendere. Ci aiuta nel nostro faticoso cammino terreno la continua intercessione di Gesù, divenuto sommo sacerdote nel santuario del cielo. La sua potenza salvifica ci garantisce e ci rassicura.