Come va fatto il segno di croce? Di solito ci si tocca fronte, cuore e spalle, però poi a messa ci si segna in maniera diversa. Come mai?
Nello scorso numero abbiamo parlato del segno di croce che dà inizio e fine a ogni momento di preghiera, siapersonale che comunitario. Se ci pensiamo bene, però, nella liturgia eucaristica non sono gli unici momenti in cui compiamo il segno di croce, che è previsto anche all’inizio della proclamazione del Vangelo.
Il n. 134 dell’Ordinamento generale del Messale romano ricorda che “all’ambone il sacerdote apre il libro e, a mani giunte, dice: ‘Il Signore sia con voi’, mentre il popolo risponde: ‘E con il tuo spirito’; quindi: ‘Dal Vangelo secondo N.’, tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e sulla propria persona, in fronte, sulla bocca e sul petto, gesto che compiono anche tutti i presenti. Il popolo acclama, dicendo: ‘Gloria a te, o Signore…’”.
Dunque ci troviamo di fronte a un triplice segno di croce, compiuto con il pollice su tre “luoghi” diversi del corpo. Questo triplice segno di croce non è una gestualità recente. Come ogni gesto, infatti, si inserisce e si sviluppa lungo il corso della storia.
Secondo alcuni studiosi, il primo segno di croce pare sia stato il “piccolo segno” di cui stiamo parlando; in seguito sarebbe invalsa l’usanza di tracciare su di sé il “grande segno di croce”. Non potendo ricostruire qui l’evoluzionestorica del segno di croce, cerchiamo comunque di capire cosa richiama alla mente del presidente dellacelebrazione e del fedele quando lo compiono. Un primo richiamo certamente è dato dalle parti del corpo coinvolte: la fronte, la bocca, il petto.
Potremmo quindi dire che, toccando la fronte, si tocca il luogo dell’intelletto, della ragione; toccando le labbra si tocca il luogo del linguaggio, della parola; infine, toccando il petto si tocca la sede simbolica dei sentimenti, il cuore. È come se, di fronte alla Parola proclamata, con il triplice gesto della croce affermassimo che per un fruttuoso ascolto dell’Annuncio deve essere coinvolta tutta la nostra persona, affinché non rimanga come una voce che semplicemente sentiamo, alla stregua di tante altre voci, ma che venga impressa in noi affinché ne diventiamo a nostra volta annunciatori.
Può tornare qui in mente la parabola del seminatore, riportata dai tutti e tre i Vangeli sinottici, nella quale vediamo come il seme della Parola attecchisce e dà buon frutto solo nel terreno buono.
Noi siamo quel terreno buono quando l’ascolto è dato non solo dall’udito, ma coinvolge tutti i nostri sensi, perché la mente ci ricordi cosa abbiamo ascoltato, la bocca esprima ciò che il Signore ci ha suggerito, e il cuore ami come il Signore ha amato l’umanità fin dalla notte dei tempi. La croce è il segno supremo dell’amore; e non può che essere il gesto che ci invita costantemente ad amare come il Signore ha amato. Amore che è maturo se nasce dall’ascolto della Parola.
Don Francesco Verzini