Dopo la sosta necessaria per raccontare la parabola del buon Samaritano, Gesù continua il suo viaggio verso Gerusalemme, entrando in un villaggio dove incontra le sorelle Marta e Maria. L’episodio appartiene a quella fonte che solo Luca conosce, infatti non è riportato altrove nei sinottici; ma anche il quarto vangelo conosce le due donne, e ci dice che sono residenti di Betania, vicino a Gerusalemme. Potremmo porci una domanda: sono collegate le due scene, quella della parabola del buon Samaritano e quella dell’incontro di Gesù con Marta e Maria? Anselm GrÈn (Gesù, immagine dell’uomo. Il Vangelo di Luca, Queriniana 2003) trova, ad esempio, che tale successione non sia casuale ed aiuti a cogliere il senso complessivo dei due quadri: “Luca non fa della teoria sulla relazione tra l’amore di Dio e l’amore per il prossimo, ma ci racconta due episodi per illustrare come possiamo amare il prossimo – concretamente e adesso – pur senza spendere tutte le nostre energie: sono l’esempio del buon samaritano e quello di Maria e Marta”.
Il monaco e teologo spiega brevemente la parabola e continua: “Luca sa che c’è il pericolo di spendere tutte le proprie energie quando si aiutano gli altri per placare la propria cattiva coscienza. Ci sono delle volte in cui riteniamo di dover salvare il mondo intero: siamo trasportati di qua e di là tra la cattiva coscienza che ci spinge a essere di aiuto e la nostra incapacità di venire in aiuto a tutti. Così Luca, come polo contrario a un tale ideale filantropico troppo elevato, porta l’esempio di Maria e di Marta”. Anche esegeti come Rossé vedono una scelta accurata di Luca nel presentare di seguito le due scene: “L’insegnamento contenuto nel racconto è da leggere in relazione con la parabola precedente che completa dando fondamento al comportamento di misericordia: importa ascoltare la parola di Gesù perché autentica espressione del volere divino espresso nel comandamento dell’amore del prossimo. L’ascolto della parola di Cristo è dunque il fondamento del comportamento cristiano e diventa la condizione essenziale per ereditare la vita eterna”.
Questa discussione ci aiuta ad entrare in un tema pastorale quanto mai attuale, ma dobbiamo passare da una dimensione che è quella della piccola casa delle due sorelle ad una realtà più grande, che è quella della nostra Chiesa. Proprio recentemente, come sappiamo, i vescovi italiani sono tornati a proporre la parrocchia come punto nodale della vita cristiana nel territorio, e nella scorsa Pentecoste hanno pubblicato una nota pastorale intitolata Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Il Segretario Generale della Cei, mons. Giuseppe Betori, ha avuto occasione di presentarla in un convegno a Lecce, e ha parlato di “due possibili derive” che minacciano la realtà parrocchiale: “Da una parte c’è una spinta a farne una comunità ‘autoreferenziale’, in cui ci si accontenta di trovarsi bene, coltivando rapporti ‘caldi’, rassicuranti. Dall’altra si diffonde l’immagine di una parrocchia come ‘centro di servizi’ religiosi, a cui si accede per ricevere essenzialmente sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono, né si impegna più di tanto per chiedersi come continuare a coltivare il dono di grazia che ha comunicato. Ci sono segnali incoraggianti che vanno in senso contrario, ma i due rischi non vanno sottovalutati”.
Per superare queste due derive abbiamo bisogno di trovare un chiaro punto di riferimento, ed esso ci è dato proprio dall’Eucaristia e, più precisamente, dall’Eucaristia domenicale. Mi sembra che l’episodio evangelico di oggi possa essere inserito nel dibattito. Le parole di Gesù a Marta, infatti, ristabiliscono una priorità e ci invitano a non perdere di vista l’essenziale, ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Ovvero, stare ai piedi di Gesù, contemplando il suo volto nella preghiera, nell’ascolto della sua Parola, nella celebrazione dell’Eucaristia. Diceva ancora Mons. Betori: “Una prima consegna che ci viene affidata dalla nostra nota è dunque quella di un costante riferimento a Cristo, di un’assidua frequentazione di lui, nella sua parola e mediante la preghiera. Solo chi conosce lui, può assumere la misura e le modalità della sua missionarietà. Anche in questo riferimento a Cristo la nota si colloca in perfetta coerenza con gli orientamenti pastorali del decennio, che della contemplazione del volto di Cristo avevano fatto la condizione prima di ogni autentica comunicazione della fede: ‘Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo d’oggi, teniamo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede (Eb 12,2)”.
Tenere fisso lo sguardo, come Maria faceva ascoltando la parola del Signore. Quell’insegnamento vale ancora e ci aiuta ad orientarci nei grandi cambiamenti culturali – che hanno gravi ricadute sulla pastorale – che stiamo vivendo, facendo risuonare le parole di Gesù da quella piccola casa perché arrivino alla nostra casa, “la parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini” (Assemblea Cei, Assisi, novembre 2003).