È una bella tradizione dedicare a Maria il mese di maggio. Oggi, direi, che è anche una necessità. Le nostre società, infatti, sembrano diventare sempre più piene di orfani, come se fossimo una grande folla di gente fatta però di persone sole, ciascuna slegata dall’altra e interessata solo delle proprie cose. Le società non sono materne. Spesso sono matrigne. Lo sanno bene soprattutto i più deboli, i più poveri, che vengono lasciati soli e abbandonati. Emerge sempre più il bisogno di avere una Madre, ossia di essere amati, di essere protetti, di essere considerati per come si è, di essere aiutati senza essere condannati. Tutti abbiamo bisogno di una “Madre”. Lo comprese bene Gesù, che dall’alto della croce affidò il giovane discepolo a sua Madre. E la Chiesa ha sentito presto il bisogno di riconoscere a Maria il titolo di Madre di Dio. Era il 22 giugno del 431. Ad Efeso, circa duecento vescovi si radunarono per celebrare il Concilio ecumenico più breve della storia. Durò un solo giorno. Alla sera Maria fu chiamata “Madre di Dio”. Questo titolo fu dato a Maria per non dividere la persona di Gesù: l’uomo da una parte e Dio dall’altra. In Maria si trovò, potremmo dire, la garanzia della comunione profonda e indivisibile tra il Cielo e la terra. È qui la grandezza di questa donna, divenuta collaboratrice della più grande impresa di tutti i tempi: la salvezza dell’umanità. I primi sapienti cristiani dicevano: “Come il genere umano è stato assoggettato alla morte da Eva, è per mezzo di un’altra Eva che è stato salvato”. E lo ha fatto nel modo più normale: quella giovane ragazza di Nazareth è sprovvista di opere miracolose, come anche di fenomeni mistici. Nulla di straordinario si legge di lei nei Vangeli. È ragazza, donna, madre come tante; gli uomini non la riconoscono né la respingono. La sua glorificazione è postuma. Per gli uomini, ovviamente. Per Dio accadde ben altro. Si potrebbe dire che all’incrocio delle strade che vanno dall’Antico Testamento al Nuovo vi è l’esperienza mariana di Dio; un’esperienza così ricca e nascosta che appena si può descrivere. Dio la riempì della sua grazia. E la Parola, che era sin dall’inizio creazione, divenne carne della carne di quella ragazza. Maria è divenuta la “porta” per comprendere quel Figlio. Gesù è incomprensibile senza Maria, e viceversa. Se Maria scompare dalla teologia, questa diviene fredda concettualità maschile; e la stessa fede resta schiacciata nelle maglie dell’astrazione. Le parole ispirate del Magnificat: “Tutte le generazioni ti chiameranno beata”, stanno a dire lo sguardo dei credenti di tutti i tempi su Maria. È lo sguardo dei figli che hanno trovato una Madre. È così da venti secoli! Se guardiamo la geografia della pietà mariana, vediamo che tutte le nazioni cristiane sono state segnate dalla forza e della tenerezza di questa Madre. Per questo un teologo contemporaneo può dire: “La figura di Maria è inattaccabile; per gli stessi increduli essa ha il valore di una bellezza intangibile”. In questo mese, piccoli e grandi, uomini e donne possono alzare gli occhi verso di lei accorgersi di essere protetti. Non siamo orfani: abbiamo Dio per Padre, ed accanto anche la Madre del Figlio, che è anche nostra. E noi, nella recita del rosario, non facciamo altro che meditare il Vangelo in compagnia di Maria, stiamo vicini a Gesù. E Maria, che lo conosce meglio di tutti noi, ci aiuta. Il rosario ci lega sempre più a Gesù attraverso la compagnia di Maria.
Maria, la Madre di noi “orfani”
Parola di Vescovo
AUTORE:
Vincenzo Paglia