A Roma c’è la mafia? La domanda è di attualità. Proprio in questi giorni il Tribunale di Roma ha condannato in primo grado alcuni aderenti del clan Casamonica (44 imputati), applicando le pene previste per i reati di mafia. Pene molto più pesanti di quelle previste per le associazioni per delinquere “normali” ossia non mafiose.
Invece, poco meno di due anni fa nel processo giornalisticamente chiamato “Mafia capitale”, la Cassazione aveva escluso l’aggravante mafiosa per le bande che facevano capo a Carminati e a Buzzi.
Da qui un gran discutere intorno a queste differenze di giudizio. Come spesso succede, molti discutono senza sapere di che cosa si sta parlando. Bisogna rifarsi al Codice penale. L’articolo 416-bis non parla di mafia ma di “associazione di tipo mafioso” e non è la stessa cosa, perché un’associazione per delinquere può essere “di tipo” mafioso anche se non ha niente a che fare con la Sicilia e il suo capo non assomiglia al padrino impersonato da Marlon Brando.
Secondo la legge, un’associazione è di tipo mafioso se (testualmente) per commettere i suoi delitti si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva. Dunque, la Cassazione ha detto (e lo ha spiegato bene) che Buzzi, Carminati e soci avevano creato una rete di potere illegale a Roma, ma non con la forza dell’intimidazione, bensì con quella della corruzione.
Insomma, non minacciavano ma compravano. Invece il Tribunale di Roma ha detto che il clan Casamonica si è arricchito, oltre che con il traffico di stupefacenti, con l’estorsione e l’usura, e dunque con la forza dell’intimidazione. Il discorso non è chiuso, perché le motivazioni di questa ultima sentenza non sono ancora pubblicate, e poi i Casamonica certamente faranno ricorso. Ma, per quello che se ne sa e che si può dire, la sentenza del Tribunale pare convincente, tanto quanto lo è quella della Cassazione su “Mafia capitale”, benché diversa.
Come cittadino, mi chiedo se sia più pericolosa una malavita che ricatta e minaccia, o una malavita che non ha bisogno di minacciare perché corrompe pubblici ufficiali. Direi la seconda.