di Daris Giancarlini
Più di mese dalle elezioni, e che è successo? Nulla, apparentemente, nonostante un primo e un secondo passaggio al Quirinale. I toni e i contenuti di vincitori (cinquestelle da una parte e, dall’altra, Lega nel centrodestra) e vinti (Pd e tutta la sinistra) sono ancora quelli di una campagna elettorale cominciata prima del referendum istituzionale del 4 dicembre 2017, e ancora lungi dal lasciare il posto alla “politica”, che guarda alla costruzione del possibile nell’interesse collettivo.
Almeno all’apparenza, le tre principali forze politiche sembrano impegnate a costruire scenari più orientati a non scontentare i propri elettorati di riferimento che a prospettare soluzioni per uscire dalla propaganda e dare un Governo al Paese.
Molto potrebbe dipendere dal fatto che, almeno fino ai primi giorni di giugno, sono in agenda appuntamenti elettorali regionali e locali di una certa rilevanza. Non si smette mai di votare, non si smette mai di fare campagna elettorale. Una spiegazione, questa, molto più rassicurante di quella che vede l’attuale generazione di politici sostanzialmente più incline a lanciare slogan brevi, per attrarre consensi, più che a studiare e proporre soluzioni ai problemi dei cittadini. Insomma, molto più facile costruire un programma per attrarre consensi piuttosto che attuare maggioranze che permettano di affrontare le emergenze che la quotidianità propone.
Una quotidianità che non fa sconti, fatta di richiami dall’Unione europea e di cifre pesanti sulla situazione dell’economia italiana.
Basterà la saggezza del Capo dello Stato per cercare o inventare una soluzione?
Probabilmente non sarà sufficiente neanche il secondo giro di incontri al Colle per sbrogliare una matassa di fronte alla quale stando ai retroscena emersi dopo il primo giro di consultazioni – Mattarella si trova a ragionare con i leader dei partiti alla stregua di un professore che ascolta studenti palesemente impreparati. Va detto che stupirsi oggi della situazione di blocco delle possibili soluzioni di Governo equivale a non ricordarsi che l’attuale legge elettorale, nel suo impianto, proprio questo lasciava intendere. Le maggioranze, con questo tipo di legge elettorale prevalentemente proporzionale, non escono direttamente dalle urne.
Vanno (andrebbero) trovate con il confronto politico tra leader politici. E in Parlamento. Ma i blocchi e i veti (Di Maio che non apre del tutto a Salvini se c’è Berlusconi, o al Pd se c’è Renzi) e le auto-esclusioni dal gioco (con il Pd che interpreta il proprio 18 per cento di consensi come un’indicazione a non governare) hanno finora allontanato qualsiasi ipotesi di maggioranze per governare. Come finirà? Con un governo Legacinquestelle, fanno trapelare i politologi meglio informati.
Ma non sarà per subito.