Nel conflitto sulla riforma del lavoro si sta sviluppando, tra gli altri, un dibattito un po’ surreale sulla sinistra, sull’idea di sinistra.
Sollecitato da un editoriale che gli ricordava non senza sarcasmo le relazioni con Berlusconi e Verdini, Matteo Renzi ha scritto a Repubblica una lettera di poco più di mille parole in cui ha spiegato le sue ragioni e ribadito la sua linea. Per spiegare il posizionamento a sinistra ha rivendicato l’inserimento del Pd nella famiglia dei socialisti europei, “jobs act” e “italicum”. Sinistra significa in fin dei conti situarsi “dalla parte dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme”.
In realtà Renzi è insofferente delle etichette. Così declina il suo “pantheon” più come galleria di ritratti, che come orientamento ideale e programmatico. “Berlinguer e Mandela, Dossetti e Langer, La Pira e Kennedy, Calamandrei e Gandhi” sono personalità diverse e anche non conciliabili politicamente tra loro. Eppure già Veltroni aveva provato a metterne insieme alcuni, per trasmettere un progetto politico, più che per affermare un’identità: comunisti e americani, indiani e africani, cattolici e laici, pacifisti, verdi e monaci.
Insomma, anche con questa galleria, Renzi tiene a dire che il passato non gli interessa, le ideologie possono essere rottamate, così come le vecchie appartenenze. Il presente gli appartiene. Quanto al futuro, appunto sinistra “è soprattutto un futuro su cui lavorare insieme per risolvere i problemi delle persone, per dare orizzonte e dignità, per sentirsi parte e avere orgoglio di essere non solo di sinistra, ma italiani”. Non solo, appunto, ma anche. Questo è il passaggio decisivo. C’è qui l’espressione del disegno espansivo e la caratteristica del fenomeno Renzi nella politica italiana. Per cui, appunto, contrariamente al famoso detto, gli fa gioco avere “nemici a sinistra”, proprio per conquistare il centro, dunque una durevole egemonia sul sistema politico italiano.
Questo in fine dei conti è il senso del dibattito sul giornale di riferimento del progressismo italiano. Repubblica gli pone la questione se gli giovi un conflitto con la sinistra che sta dentro il suo stesso partito, per fare una politica neo-centrista, quella cioè di fatto delineata dai vincoli europei, senza avere la certezza di ottenere anche quei voti. Renzi risponde riaffermando la sua volontà di andare avanti.
Oltre le dinamiche di realpolitik questo piccolo dibattito tuttavia può essere utile per ribadire un’esigenza. Certo la politica è cambiata. Eppure, in vista delle scadenze non eludibili che ci stanno davanti, occorre giustificare un quadro coerente, trovare il modo per andare in profondità, anche sul piano culturale e ideale: la questione dell’uguaglianza, una delle parole – chiave della politica, con giustizia e libertà infatti sta ritornando prepotentemente, nella concreta realtà della vita e delle attese del popolo, che ha bisogno di fatti.