L’umanità di un grande pastore

In ricordo di monsignor Decio Lucio Grandoni, scomparso il 22 marzo, ripercorriamo qualche episodio significativo della sua vita di pastore

I ricordi di tanti anni di episcopato di mons. Decio Lucio Grandoni sono molti, ma vogliamo ora mettere in evidenza l’umanità e la semplicità del suo ministero episcopale. Durante il grande Giubileo del 2000, mons. Grandoni il 7 maggio guidò un grande pellegrinaggio diocesano di oltre 5.000 fedeli nel quale erano rappresentate tutte le parrocchie della diocesi. Una giornata bellissima e mons. Grandoni celebrò per tutti questi fedeli la messa dall’altare della Confessione in San Pietro. Un cerimoniere della basilica gli disse che solamente il Santo Padre poteva fare l’omelia seduto e per tutta risposta mons. Grandoni gli disse: ‘Mi dispiace molto di dare un dispiacere al Santo Padre’ e pronunciò la sua omelia seduto’ La sua omelia di quel giorno fu un’attualizzazione del legame profondo della Chiesa con Pietro, dell’amore dei cristiani per il successore di Pietro. Mons. Decio era alieno dai formalismi eccessivi e andava all’essenziale, con la sua abitudine all’umorismo che sempre lo ha caratterizzato, dandogli anche un po’ d’aria scanzonata. Durante il suo lungo episcopato sono tanti gli avvenimenti che si potrebbero raccontare, come quando durante la Giornata mondiale della gioventù del 2000, la nostra diocesi ospitò oltre 2.500 giovani e lui, leggendo una rivista, si accorse che in proporzione avevamo ospitato molta più gente della diocesi di Milano; la rivista ci metteva in cima alla classifica per l’ospitalità delle diocesi in Italia e mons. Decio Lucio, chiamati immediatamente i responsabili, li rimproverava per l’eccesso ma si vedeva che era un rimprovero che esprimeva un forte compiacimento. Anche nella sua dolorosa malattia ha mantenuto la sua bonomia; quando il 9 marzo gli è stato detto che si era spento il decano del nostro presbiterio, mons. Giuliano Pazzaglia, all’età di 104 anni, mons. Decio ha esclamato: ‘Ci rincorriamo!’. Aveva una grande venerazione per la Madonna, anche se non amava assolutamente gli eccessi nelle devozioni e la corsa al miracolismo, e questo lo ribadiva spesso, perché la sua fede era orientata al Cristo, all’eucaristia, alla serietà nel ricevere i sacramenti e non voleva che i fedeli si soffermassero su particolari secondari. Per un santo aveva un debole: san Martino I, papa e martire, nativo della città di Todi; aveva fatto fare una bella edizione delle lettere che il Santo scrisse dal suo duro esilio e ci ricordava spesso di raccomandarci a san Martino che, aggiungeva, ‘essendo disoccupato per la scarsità di devoti è sempre pronto a darci una mano.’ Nella sua malattia portava al collo una croce con dentro le reliquie del Santo e con quella stessa croce sarà sepolto. Apprezzava con vivo interesse la storia della Chiesa, in modo particolare quella delle origini, si è molto impegnato per l’acquisto del terreno e il restauro delle catacombe di Villa San Faustino, e un giorno vi ha anche indetto un bel ritiro del clero. Negli ultimi dieci anni di episcopato si era ‘innamorato’ dell’Albania e della missione di Fusche-Arrez dove, oltre che alle strutture necessarie alla missione, aveva fatto edificare una bellissima chiesa dedicata a san Giuseppe. Anche qualche giorno prima della sua morte aveva detto: ‘Vorrei essere lì a Fusche-Arrez, in mezzo a quelle persone’. Per il suo XXV di episcopato non ha voluto regali, solamente aiuti per costruire la chiesa in questo sperduto paese in mezzo ai Balcani. Tanti ricordi e momenti molto significativi. Nel momento di dare le dimissioni per raggiunti limiti di età ha scritto: ‘Nell’apprestarmi a consegnare questa Santa Chiesa particolare di Orvieto – Todi al mio successore, rivolgo un forte appello a tutti i suoi figli perché vogliano e sappiano conservare intatta l’adesione alla fede, che circa 1830 anni fa giunse tra noi da Roma lungo la via fluviale del Tevere e le strade consolari Flaminia e Cassia’. Addio monsignore, ci rivedremo da Dio.

AUTORE: don Marcello Cruciani