“È bene per voi che io me ne vada” (Gv 16,7). Con questa affermazione Gesù, nel contesto dell’Ultima Cena, anticipa i fatti che accadranno di lì a poco. Una frase che troverà una piena comprensione in due momenti successivi: dopo l’Ascensione e la Pentecoste.
l compimento del Mistero pasquale non è solo un fatto, ma una storia che continua: “Ecco, io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Come nei racconti della risurrezione, anche la narrazione dell’ascensione al Cielo presenta notevoli divergenze. I racconti degli evangelisti sono arricchiti dal testo degli Atti degli apostoli (1,1-11), che ci viene proposto come prima lettura. A fare sintesi dei brani della Scrittura ci viene in aiuto la liturgia di questa Domenica dell’Ascensione, che nei testi della celebrazione eucaristica ci spiega il significato di questo evento della salvezza.
L’invito alla gioia e all’esultanza con cui inizia la celebrazione, “Esulti di santa gioia la tua Chiesa” (Colletta), è una stupenda colonna sonora alla possibilità di tornare a celebrare il “giorno del Signore” con la comunità.
I testi liturgici ci dicono che nell’Ascensione è la nostra stessa umanità a essere innalzata accanto a Lui.
Non si inaugura un tempo di assenza da Lui, ma inizia il tempo di una presenza nuova, una piena comunione che non si lascia più condizionare dalle coordinate del tempo e dello spazio. Sia la Colletta che il Prefazio ci ricordano che ora la Chiesa, in modo più evidente, si dilata oltre il confine della morte, non c’è più separazione tra la terra e il “cielo”. Ora Capo e membra abbracciano l’umanità intera: sia quella in cammino verso l’eternità, che quella redenta che vive nella pienezza accanto al suo Redentore.
A Gesù il Padre ha dato ogni potere
A Gesù, il Padre ha dato ogni potere in cielo e sulla terra, come ci ricorda il testo evangelico (Mt 28,18).
Un dominio ulteriormente specificato nella seconda lettura:
“Il Padre della gloria lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro” (Ef 1,17.20-21).
Questa evidenza di dominio e potere non può però incutere paura, perché il Cristo risorto, vittorioso sulla morte e sul peccato, ha da sempre deposto i segni del potere nell’obbedienza al Padre, facendosi ultimo tra gli ultimi.
Nell’umiltà della sua natura umana ha mostrato la potenza dell’unico segno regale: la morte in croce. Con i segni della passione, Egli sale al cielo portando all’abbraccio del Padre l’umanità segnata dal peccato, che ha inciso anche il suo corpo santo. Per questo il Padre lo ha innalzato al di sopra di ogni creatura: “Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi, e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose” (Ef 1,22).
Il testo della seconda lettura prosegue rafforzando il legame tra Capo e membra: “Essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose” (v. 23).
San Paolo più volte ritornerà sull’analogia del corpo per spiegare la Chiesa nel suo mistero, che può essere definita il Corpo del Cristo Risorto vivente e operante nella storia, fino al suo compimento. Il testo della prima lettura traccia proprio questo percorso, ponendolo sulla bocca di quelle figure angeliche che avevano annunciato la resurrezione: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11).
Il racconto negli Atti degli Apostoli
Il racconto dell’Ascensione, nella versione degli Atti degli apostoli, ha le caratteristiche di una “teofania” (manifestazione di Dio): la nube che copre la vista, gli apostoli che rimangono bloccati dalla visione, uomini in bianche vesti. Una sorta di rapimento dal tempo, che fa presagire una “incursione” dell’eternità nella quotidianità.
Il testo di Atti ricorda agli apostoli, e anche a noi, che l’incontro con il Risorto non è mai un estraniarsi dalla storia e dalla quotidianità: “Perché state a guardare il cielo?”. Anche Pietro nel testo evangelico della Trasfigurazione voleva fermarsi “fuori del tempo”, facendo tre tende per i pochi intimi presenti! La tentazione di una “certa Chiesa” di chiudersi nelle certezze dei “quattro mejo” è sempre presente.
Si comprende invece il dubbio e la paura degli apostoli, che è anche la nostra, di rimanere soli; a cui dà voce l’affermazione dei discepoli di Emmaus: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera” (Lc 24,29).
Ma a tutti è rivolta la consolazione di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
don Andrea Rossi