L’opera di Perugia che ispirò Rubens

In mostra nel capoluogo la “Deposizione” del Barocci: in un convegno si è parlato del restauro

Da molti è stata definita il più straordinario capolavoro che Federico Barocci abbia realizzato nella sua carriera artistica. Nonché una tra le opere più alte della pittura cinquecentesca italiana. Si tratta della magnifica Deposizione di Cristo realizzata dall’artista urbinate tra il 1568 e il 1569, su commissione del Nobile collegio della mercanzia di Perugia, per la cappella di San Bernardino in cattedrale, che ancora oggi ne è proprietaria. Attualmente è al centro di una mostra inaugurata a febbraio presso la sede di palazzo Baldeschi a Perugia, aperta fino al 6 giugno, promossa dalla Fondazione Cassa di risparmio di Perugia, insieme ad altre opere dello stesso artista e alcuni suoi contemporanei umbri. Un’occasione che i perugini, e non solo, non dovrebbero lasciarsi sfuggire: perché in mostra l’opera la si può gustare nei suoi splendidi colori, fuori dall’oscuro contesto originale della cappella, dopo lo straordinario restauro di cui è stata oggetto di recente. Nei giorni scorsi l’opera e il suo restauro, su cui è stato pubblicato un volume, è stata oggetto di un convegno di studi presso la sala delle Colonne di palazzo Graziani a Perugia, sede della Fondazione. Tra i presenti, studiosi come il prof. Andrea Emiliani, tra i massimi conoscitori di Federico Barocci, il prof. Bruno Toscano, il prof. Francesco Federico Mancini, curatore della mostra perugina, tecnici dell’Istituto centrale del restauro di Roma. A presentare il volume Federico Barocci. Il deposto di croce, alla cappella di San Bernardino nella cattedrale di Perugia. Il restauro. Studio e conservazione i due curatori, Francesca Abbozzo, della Direzione regionale per i beni storici e artistici dell’Umbria, e Maria Teresa Castellano, colei che ha messo mano al restauro. Un’occasione per studiosi e tecnici del restauro di esaminare anche alcuni aspetti della figura e dell’opera del pittore. Cos’è che rende quest’opera così straordinaria? “I motivi sono diversi – spiega Francesco Federico Mancini, docente dell’Università di Perugia. – Il primo è sicuramente l’alta considerazione che ne ebbe Rubens, il più grande artista barocco del ’600, il quale non venne mai a Perugia, ma conobbe la produzione baroccesca tramite le incisioni che l’urbinate fece fare delle sue opere, e che lo fecero conoscere sia in Italia che in Europa. Rubens ne fu talmente ammirato che si lasciò influenzare dalla Deposizione per realizzarne una sua per la cattedrale di Anversa. Da qui la fortuna oltralpe del Barocci, che diventò ben presto artista apprezzatissimo”. Di quest’opera – ricorda Mancini – va poi sottolineata l’innovativa idea prospettica, con doppio fuoco visivo: uno, in alto, che corrisponde alla figura del Cristo, e uno in basso con la figura della Vergine svenuta. “Nuovo è anche quel suo cangiante cromatismo, che gli fa sperimentare colori dalle tonalità quasi irreali, innaturali. Quel compenetrare tra rossi e gialli, tra arancio e viola: passaggi visibili a chi osserva l’opera da vicino, e che da lontano vanno a tutto vantaggio dell’impianto compositivo dell’opera, estremamente emotiva e dinamica. Di lui, grande è anche la capacità di raccontare gli affetti, visibili in alcune delle sue produzioni, come l’Annunciazione di Santa Maria degli Angeli”. Nel 2009 l’opera è stata sottoposta a un eccellente intervento di restauro, grazie al sostegno della Fondazione Monte dei paschi di Siena e della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia, condotto da Maria Teresa Castellano. “Un anno di lavoro – spiega la Castellano – eseguito nel pieno rispetto della tecnica esecutiva dell’artista, estremamente complessa nella stesura degli strati pittorici. La difficoltà è stata infatti quella di rispettare tutti i vari passaggi. Si è poi intervenuti anche sul supporto della tela (alta 412 cm, per 232 cm di larghezza) che presentava un lieve fenomeno di deformazione. Inoltre l’Istituto centrale del restauro ha compiuto una serie di indagini scientifiche che hanno contribuito a conoscere meglio l’opera, per un intervento più mirato”.

AUTORE: Manuela Acito