Lo Spirito “paràclito”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti Domenica di Pentecoste - anno C

Le due grandi feste cristiane di Pasqua e di Pentecoste coincidono con le due grandi feste omonime del popolo ebraico. Per gli ebrei, Pasqua era la festa fondante della loro esperienza religiosa: in origine anzi era la festa agricola “degli azzimi” per invocare la benedizione dell’Altissimo sulle semine; in seguito, ridottosi il popolo in schiavitù sotto gli egiziani, era la festa ancor più memorabile della loro liberazione politica e della libertà recuperata tramite Mosè. Per i cristiani invece la Pasqua è l’evento conclusivo della vita di Gesù, con la sua passione-morte-resurrezione per la nostra liberazione dal peccato, che è male ancor più grave della schiavitù politica, sotto un ben diverso faraone, il Maligno, il principe del male, dal quale chiediamo d’essere liberati. Analogamente si dica per la Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua.

Per gli ebrei era l’altra grande festa dell’offerta “delle primizie” per ringraziare l’Altissimo del dono fatto. Per i cristiani fu l’evento conclusivo del mistero pasquale con il dono cristiano per eccellenza, quello dello Spirito santo, che Gesù risorto fa alla sua Chiesa perché non resti sola e sia feconda di opere buone, a cominciare dalla evangelizzazione in tutte le nazioni. Il Paràclito – così è chiamato lo Spirito santo di Dio – è l’altro Consolatore che assume nel tempo della Chiesa il ruolo di Gesù, e sarà lui ad aiutarci a confessare Cristo crocifisso come Kyrios, il “Signore” (1 Cor 12,3), che è stato reso “maledizione” per amore nostro (Gal 3,13), ma è stato da Dio stesso esaltato nella gloria. Non dispiace specificare ancora di più le funzioni del Paràclito così come l’evangelista Giovanni ce le descrive a poco a poco. Gesù l’aveva detto: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14, 18). Come il Figlio non è mai solo perché “è sempre con il Padre” (Gv 8,16), così la Chiesa non sarà mai sola perché sarà sempre accompagnata dallo Spirito, il quale la edificherà come un solo Corpo (Col 3,15).

Il Paràclito, dono di Gesù risorto alla sua Chiesa, sarà il Difensore contro gli assalti del maligno liberandoci dal peccato e dalla menzogna; l’Avvocato che perorerà la causa della Chiesa e dei santi, il Consolatore che saprà dire al momento giusto le parole di insegnamento e di speranza; il Memorello-memoriale delle cose dette e fatte da Gesù “guidandoci alla verità tutta intera” (Gv 15,27); l’Insegnante-Profeta dei legittimi contenuti e sviluppi della Parola. Non possiamo quindi sentirci soli. Sarà lo Spirito a lavorare nel nostro intimo per “formare Cristo in noi” (Gal 4,19). Per la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, comincia un’altra stagione della storia: la stagione della “liberazione dal male e dal Maligno”. I credenti sanno già come andrà a finire, perché Gesù è il Signore della Storia, ma non sanno ancora la lotta e la fatica che dovranno affrontare. Nella lotta però non saranno mai soli.

La lettera di Paolo alla comunità cristiana di Roma ricorda la nostra più vera identità e il nostro autentico titolo d’onore: non siamo più schiavi ma liberi, non più trovatelli ma figli adottivi di Dio, non più nati per caso ma eredi, “eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rom 8,17), e possiamo chiamare Dio come lo chiamava Gesù: “Abbà! Padre!”. La fatica che comporta la sequela di Gesù nella vita terrena non è paragonabile alla gloria futura che godremo in Dio per tutta l’eternità. È nella sofferenza che la Chiesa si rinnova e acquista bellezza. Virtù sovrana è allora la speranza, che è certezza delle cose che saranno, ma anche delle cose che già sono, perché è “nella speranza che già siamo salvati”. Certamente non dobbiamo presumere di noi stessi e delle nostre forze.

Le virtù teologali, ma anche le stesse virtù morali raggiunte con la ragione, non sono praticabili nella loro integralità senza un aiuto particolare dello Spirito, che dobbiamo chiedere umilmente con l’invocazione l’illuminazione della Parola, i sacramenti, l’ascesi della vita, la carità. Esortare ad una vita anche umanamente virtuosa senza attivare questi percorsi, è presuntuoso ed inefficace. È lo Spirito santo di Dio che rende praticabili le virtù. Senza di esso nessuno può resistere a lungo nella lotta al male e nel continuo rapporto di grazia con Dio, neppure un “onesto non credente” seriamente in ricerca (cf. GS 23: “Dobbiamo credere che lo Spirito santo dia a tutti di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il Mistero pasquale”). E questo vale, soprattutto oggi, per tutta la dinamica educativa: senza un aiuto particolare dello Spirito, corre il rischio d’essere inefficace.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti