‘Nel mio cammino metto al primo posto il lavoro che ho vissuto sulla strada, che non so quante volte, all’inizio della mia professione, diventava quello di un volontario o, forse, di un assistente sociale’ Mi capitava di vivere per intere giornate a casa di un giovane che, dopo gli arresti domiciliari per motivi di droga, non voleva più uscire per paura di non essere più capace di vivere fuori”. La Voce incontra lo psicoterapeuta Stefano Pieri, 47 anni, lo ‘psicologo della strada’, per parlare dei danni delle droghe leggere sulla mente umana. Pieri, seguace dell’opera del neuropsichiatria infantile Giovanni Bollea, lavora nelle scuole dell’Umbria. E cerca di spiegare ai giovani come fuggire ‘lo sballo’, di ogni tipo. Il noto psichiatra Robin Murray del Kings College Institute di Londra, pochi giorni fa, ha messo in guardia sulle conseguenze dell”erba’: sostiene che gli adolescenti che la fumano rischiano la schizofrenia e psicosi non risolvibili. ‘Tesi plausibile, specie se ne fanno un uso frequente, prolungato nel tempo. Anche perché la ‘canna’ di oggi spesso contiene una quantità di principio attivo più elevato. Nel caso della cannabis, c’è molto più tetraidrocannabinolo rispetto a ciò che accadeva dieci anni fa. Ogni droga fa male, e ci sono delle persone più predisposte delle altre a subire. Ma il problema è evitare che i giovani trovino ‘rifugio’ in essa’ o altrove’.Perché ciò avviene? ‘Credo che il grado di sopportabilità della realtà, e delle sconfitte in particolare, sia davvero bassissimo in questi giovani. Noi psicoterapeuti registriamo una sorta di mancanza di energia nell’affrontare la vita, con tutti i suoi problemi. Per questa ragione hanno bisogno di sballarsi. Dal fumo all’alcool, qualsiasi sostanza è buona per allentare le loro frustrazioni. Preferiscono vivere in una dimensione fantasticata, che a loro sembra essere ovviamente più semplice della vita di tutti i giorni’. Quanto la loro crisi è quella delle loro famiglie? ‘In buona parte le due crisi coincidono. Molti genitori vorrebbero crescere i loro ragazzi a propria immagine e somiglianza, ma questo è impossibile: ad un certo punto, non riescono più a riconoscere i comportamenti dei figli, ché si alienano dalla famiglia, dalla scuola, dall’altro sesso, dal mondo. In tanti modi. Uno di questi è l’uso di droghe’. E che dovrebbero fare, invece? ‘Il genitore ha un ruolo ben preciso: quello di mediare ciò che succede nei vari ‘mondi’ del bambino che entra in contatto con la realtà. Io sostengo che i genitori devono dare al bambino, e poi all’adolescente, la libertà di interpretare la realtà. Oggi gli stimoli arrivano non più solo dalla famiglia e dalla scuola: c’è la pubblicità, i modelli del successo, il web, i mass media, e non tutti sono positivi. Nelle nuove generazioni serve sviluppare maggiore senso critico’. Che ruolo può giocare la scuola nel prevenire il disagio giovanile? ‘Scarso. La scuola di oggi, con il suo orientamento ‘vecchio’, non sa organizzare la prevenzione né contro la droga né contro l’alcool, ma nemmeno contro altri fenomeni del disagio giovanile, quale il bullismo’.Lei lavora negli istituti umbri, a diretto contatto con giovani e giovanissimi studenti. Come ci si accorge quando c’è un problema? ‘Un disagio si coglie già alla scuola elementare, addirittura alla materna. Se un bambino è continuamente disattento in classe, se lo studente organizza la comunicazione a suo modo, solo ed esclusivamente secondo ciò che più gli piace o che vorrebbe fare e senza tenere affatto conto del contesto in cui è inserito: allora c’è già da preoccuparsi un po”.
Lo ‘sballo’ come fuga dalle sconfitte
Disagio giovanile. Intervista allo psicoterapeuta Stefano Pieri
AUTORE:
Paolo Giovannelli