A chi gli chiedeva: ‘Chi vorresti essere?’, il celebre scrittore FranÈois Mauriac rispondeva: ‘Io, ma riuscito!’. Lo vedeva nel suo divenire, il suo io; avrebbe voluto viverlo anche nel suo esito finale, cioè riuscito. Non era, insomma, contento di se stesso. Perché? ‘Ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te’, diceva sant’Agostino in un colloquio con Dio. E in questa inquietudine vedeva la vera grandezza dell’uomo: ‘Anche nell’inquietudine degli spiriti, Tu indichi la grandezza cui hai chiamato l’uomo, perché nulla meno di se stesso, anzi neppure se stesso, gli basta per la sua felicità e per il suo riposo’. E concludeva: ‘Dammi te stesso, Dio mio, restituiscimi te stesso’ (Da mihi te, Deus meus, redde mihi te. Vedi Le confessioni 13, 8.9). In Dio egli poneva la sua speranza di riuscire a diventare pienamente se stesso. Chi rifiuta questa speranza non è infatti solo il disperato, è soprattutto colui che è pieno di sé, cioè uno dei ‘sazi’ di cui parla anche il Vangelo. Il disperato, invece cammina sulla stessa strada di chi spera: soltanto vi cammina a rovescio, in senso inverso. Basterebbe farlo rigirare, perché prosegua il suo cammino verso la meta, come giustamente diceva Madeleine Delbrel: ‘Pur essendo una convertita, ho trovato in quell’ambiente non credente condizioni favorevoli ad una nuova conversione, conversione ad una fede più autentica, più vera, più sicura. E vorrei dirvi con la stessa fermezza, con la stessa convinzione, che ho trovato in quell’ambiente condizioni particolarmente favorevoli per l’evangelizzazione di quell’ambiente medesimo’ (Noi della strada, Gribaudi, Torino 1969, p. 241). La virtù della speranza è, infatti, un seme che può attecchire e portar frutti prodigiosi anche se cade sul terreno incolto, sulle pietre. La storia della salvezza cristiana ce lo racconta in ogni epoca e con esempi prodigiosi, a cominciare da quello di san Paolo sulla via di Damasco. Ma se abbiamo gli occhi della fede ben aperti, esempi ne potremmo veder anche con i nostri occhi, anche nelle nostre parrocchie, oggi. L’impressione più frequente che si ha quando si viene a contatto diretto con le persone, è questa: si è delusi di quanto abbiamo, ma cerchiamo qualcosa di nuovo; siamo arrivati al termine di un vicolo cieco e cerchiamo di risalire. Non è, dunque, un discorso pessimistico questo che stiamo facendo. Quando sembra che tutto stia crollando, balena l’idea di un nuovo progetto: la casa crolla per costruirne una migliore. Per chi ha fede, questo discorso è normale, o meglio: dovrebbe esserlo. Per questo stiamo oggi mettendo sempre più l’accento sulla virtù della speranza.
L”io’ riuscito
AUTORE:
Mons. Giovanni Benedetti