L’informazione e il senso del ridicolo

L’informazione di massa, di cui siamo voraci consumatori, fino alla bulimia, con il seguito del rigetto, ci riempie di tante notizie per lo più di due generi elementari e perenni: le tragedie e le volgarità. Questi due generi elementari, da non confondere con gli alimentari, sono presenti in tutto l’arco delle letterature mondiali. Ma a parte la letteratura, quella con la l maiuscola, che riesce a trasfigurare le cose e dare dignità alle vicende della vita, i fatti cui mi riferisco sono tratti dalla cronaca più vicina e non hanno niente di letterario. La terribile cruda storia riportata dai giornali della sciagura in cui è incorso il giovane operaio di 28 anni, con moglie e un bambino piccolo, precipitato da un’altezza di venti metri, dalla torre del castello di Parrano, mentre era impegnato nel suo lavoro di idraulico. Un tragedia vicina, nostra, umbra, non l’unica, purtroppo, e neppure rara nella scena delle morti sul lavoro. Si può dire una strage continua a stillicidio, che sembra impossibile fermare. Dobbiamo sentirci tutti in qualche modo colpiti da storie di questo genere, superando il senso di impotenza e cambiando la mentalità e i comportamenti degli imprenditori e degli stessi lavoratori. Non servono i lamenti, pur umani, e i moniti pur doverosi. L’informazione in questi casi si comporta bene, riesce a coinvolgersi con il dolore della famiglia e della popolazione. Talvolta esagera nel modo in cui affronta le persone con domande inopportune o andando a scavare là dove un limite di buon senso e di riservatezza, di pudore e di rispetto dovrebbero fermare la penna e la telecamera. Fa bene il suo mestiere quando richiama le urgenti necessità del mondo del lavoro nel quale servono controlli e interventi efficaci. In molti altri casi, invece, l’informazione di massa riesce a disturbare, a deformare la verità, ad offendere persone e gruppi umani o categorie sociali, fino al punto da rendere ridicolo e goffo il mestiere del giornalista. Questa netta impressione ad esempio l’ho avuta sfogliando un quotidiano datato mercoledì 2 luglio. Dire rivoltante è forse poco leggere sul Corriere dell’Umbria, nel ‘dorso’ nazionale un articoletto titolato a caratteri cubitali ‘Il bordello si prepara per i papaboys’ . Non contento di ciò, il direttore o chi per lui, stampa una foto a colori di una pornostar nuda e ammiccante. Chi legge potrebbe essere autorizzato a pensare che centinaia di migliaia di giovani, in occasione della Giornata mondiale della Gioventà, faccia un pellegrinaggio sessuale in Australia guidati da Benedetto XVI. Una specie di turismo religioso sessuale. Naturalmente il Corriere dell’Umbria non dice questo. Anzi riporta la reazione di protesta dell’associazione dei papaboys. Però lo fa pensare, lo suggerisce, lo insinua. Forse ha voluto fare dell’umorismo, del sarcasmo, del sensazionalismo o è accondiscendente accettazione di un comunicato di agenzia, ripreso anche da altre testate, arricchito di salsa piccante? Nulla di tutto questo, vuol vendere. Di una foto più o meno provocante il Corriere dell’Umbria, infatti, non priva mai i suoi lettori. Naturalmente la libertà di stampa è un dogma della modernità che nessuno intende intaccare. C’è però da farsi molte domande sul modo di fare informazione. In questo caso, penso che sia stato almeno molto maldestro.

AUTORE: Elio Bromuri