L’embrione costretto tra ‘vita’ e ‘non-vita’ in funzione del fine cui è destinato. Eppure è vita umana

Legge 40 e statuto dell'embrione. Il contributo della filosofia

I molteplici interrogativi sollevati dalla legge 40 toccano diversi campi del sapere umano. Questi ambiti sono strettamente connessi nella misura in cui ciascuno sottende e rimanda alla domanda fondamentale: qual è l’essenza di ciò che definiamo con il nome di embrione? Le brevi riflessioni che seguono muovono nella direzione formale indicata dalla domanda: il che cosa è dell’embrione, se esso sia vita umana, cioè persona ‘ non riesco a concepire una vita umana che al contempo non sia personale – , oppure un ‘ricciolo di materia’, cioè mero materiale biologico, diviene il punto discriminante della qualità delle soluzioni offerte e delle conseguenti prospettive che si apriranno in futuro. Gli argomenti sostenuti per giustificare l’utilizzazione incondizionata degli embrioni si basano sull’attestazione di un loro specifico status biologico, altro rispetto alla vita umana. Tale tesi appare inconsistente e artificiosa, e contraddice persino le indicazioni fornite da quella medesima scienza che essi assumono a sapere incontrovertibile. La vita umana, come sostiene Angelo Vescovi, uno tra i massimi ricercatori italiani del settore, si manifesta nella sua autonomia e irripetibilità sin dal momento del concepimento. Con l’unione dei gameti maschile e femminile inizia infatti un processo di sviluppo cellulare continuo, senza salti, che si interrompe soltanto con la morte naturale dell’individuo. Posticipare l’inizio della vita umana non ha, dal punto di vista dell’osservazione sperimentale, alcun senso: significa soltanto decidere convenzionalmente senza riferimento a dati oggettivi, accordarsi sulla base di categorie che non appartengono alla metodologia scientifica. Termini come pre-embrione, pre-vita, ootide ed altri ancora rappresentano delle manipolazioni linguistiche finalizzate a rendere moralmente accettabile la manipolazione genetica. Si somministrano al grande pubblico pillole omeopatiche di barbarie, così da abituarlo alle violenze e nefandezze che si consumeranno in futuro ai danni di creature umane indifese, colpevoli soltanto di non essere visibili. Da questo punto di vista i ragionamenti pseudologici di Giovanni Sartori, i sofismi neo-parmenidei di Emanuele Severino, le esternazioni estemporanee e goffe di Umberto Veronesi, sono la certificazione e la piena legittimazione che i principali organi d’informazioni danno a questa tendenza culturale in atto ormai da molti anni. La retorica angelicata degli scienziati tecnonichilisti, di coloro, cioè, che nel produrre vita artificiale ne distruggono la dignità, è ancorata alla necessità di definire allo stesso tempo come vita non-vita l’embrione, così che da questa contraddizione emerga una sostanza eticamente depurata, perché neutra rispetto alla domanda originale, impiegabile per qualsiasi loro ricerca. La visione occultata in questa impostazione consiste nel decadimento che il che cosa è dell’embrione umano subisce nella comprensione del suo essere: non si è più di fronte ad una vita sorgente, ad un progetto personale, ad un Tu, ma ad un utilizzabile. Nell’utilizzabilità in generale ogni alterità deve essere subordinata al soggetto che disponendone incondizionatamente afferma la propria libertà, intesa come origine e fine di ogni attività. L’utilizzabilità si esprime attraverso il dominio, che è un volere per avere, e l’appagatività, che è un volere per essere; in entrambe le modalità, tuttavia, è la volontà del soggetto che fonda e costituisce il rapporto. Nel caso dell’embrione, vita ‘ non vita contemporaneamente, è la volontà che di volta in volta decide secondo il criterio della sua utilizzabilità a quale stato esso appartenga. Se l’embrione è utilizzato come mezzo per curare future malattie, allora verrà compreso nella modalità materiale del dominio e, quindi, considerato non vita; se invece è utilizzato come desiderio di maternità, che in rapporto alla struttura della libertà sopra descritta si trasforma in diritto soggettivo, allora verrà compreso nella modalità dell’appagatività e considerato vita. Una razionale riflessione sopra il reale stato ontologico dell’embrione umano non può disconoscerne la vera natura: esso è vita personale e, in quanto tale, ha il diritto di essere tutelata, perché possa sviluppare tutte le sue potenzialità. Per mostrare quest’evidenza basterebbe soltanto richiamare alla mente il famoso ritornello di una canzone che tutti i bambini, sin dagli anni dell’asilo, conoscono, ma che i sapienti sembrano ignorare, che recita: ‘Per fare l’albero ci vuole il seme’. Analogamente il nostro essere persona, qui ed ora, non può prescindere dal suo stato embrionale iniziale, tolto il quale, oggi, saremmo nulla. Se neppure il ‘metodo regressivo’, implicito in questa argomentazione, venga ritenuto sufficiente per mostrare che l’embrione umano è vita personale, si potrebbe sempre fare appello al principio di finalità, che postula la rispondenza di un oggetto al fine verso cui è diretto. Da questo punto di vista neppure chi utilizza embrioni, sia per produrre figli, che per compiere sperimentazioni genetiche, non può negare la finalità per cui essi sono stati intenzionalmente realizzati, cioè la vita umana. Che cosa sia la vita umana è una domanda alla quale due secoli e mezzo di filosofia non sono riusciti a dare una risposta convincente ed esaustiva, ma che nell’embrione umano sia già potenzialmente presente la persona futura è una verità che può essere ignorata soltanto da chi ha rinunciato all’uso corretto della propria ragione.

AUTORE: Carlo Palermo