L’educazione attraverso esperienze sportive è da almeno un secolo proposta dal magistero della Chiesa. Si deve però riconoscere che non è adeguatamente attuata. Eppure, può dirsi una “carta vincente”. Si continua a percorrere la “strada fonica”, che è certamente giusta; ma è difficile che coinvolga tutta la persona. Può toccare la mente e il cuore, ma la persona è anche corpo. Educazione esperienzialeL’educazione attraverso esperienze sportive coinvolge tutte le componenti umane: lo spirito, la mente, la psiche, il corpo, il mondo delle relazioni. L’assunto è questo: più che le parole, sono le esperienze che cambiano i modi di pensare e di agire. In piccola parte noi siamo ciò che abbiamo ascoltato; un po’ più, ciò che abbiamo visto; molto di più, ciò che abbiamo sperimentato. Le esperienze, positive o negative, segnano in profondità. Da qui l’efficacia educativa dello sport praticato, naturalmente, secondo precisi e condivisi valori etici. Nell’azione educativa la valenza psicologica è determinante. E bisogna convincersi che l’educazione transita non solo per le strade del sacrificio, della rinuncia, della fatica, ma anche per quelle della gioia e del piacere. Non è vero che tutto ciò che è attraente e piacevole sia negativo. Ci sono cose gradevoli che possono diventare mezzi di autentica formazione integrale e anche di annuncio della “bella e buona notizia” che è il Vangelo. Lo sport, il teatro, la musica, il turismo e altre attività del tempo libero possono diventare strumenti di vera crescita umana, come testimoniano gli oratori inventati nel 1500 da san Filippo Neri e re-interpretati nell’800 da san Giovanni Bosco. Sono le esperienze lo snodo attraverso cui i valori astratti diventano vita, le cerniere che permettono al cuore di catturare i principi enunciati. Non fu questo il metodo pedagogico di Gesù? Ai discepoli che gli chiesero: “Rabbi, dove abiti? Chi sei?”, egli rispose: “Venite e vedrete”. Come dire: venite e capirete. L’evangelista Giovanni annota che così avvenne: andarono, videro, si fermarono. Avevano capito chi era colui che li aveva invitati. Educazione di gruppoUn valore aggiuntivo dell’educazione esperienziale è che avviene non in modo individuale, ma sociale. Dentro e attraverso il gruppo. Se i giovani amano stare in gruppo, la loro educazione non può prescindere dal gruppo. L’educazione individuale, ha detto qualche pedagogista, è una perdita di tempo. Se vuol essere efficace, deve favorire esperienze comunitarie, la vita di gruppo ovviamente connotata da autentici valori umani e cristiani. Da soli i giovani non vivono, e da soli non possono essere educati. E questo vale anche per gli adulti. Il noto psichiatra Vittorino Andreoli scriveva tempo fa su Avvenire che il gruppo esercita una forte pressione di conformità sulle persone che ne fanno parte. Le persone, cioè, tendono a conformarsi all’identità del gruppo di cui fanno parte. Egli sostiene infatti che “il singolo, quando partecipa ad un gruppo, si modifica; avviene una vera metamorfosi del comportamento, del proprio modo di pensare, della percezione del limite che diversamente non si avrebbe. Si potrebbe anzi dire che la testa del singolo individuo serve meno di quella del gruppo cui appartiene”. Sono affermazioni forti, da non sottovalutare. Tutti, del resto, abbiamo esperienza che la pressione psicologica del gruppo è talmente forte da rendere le persone persino incapaci di mantenere integra la propria identità. Quanto più il gruppo è numeroso, tanto meno la persona è capace di restare se stessa: nel bene e nel male. Una forza che trainaIn sostanza, la singola persona inserita in una realtà associativa può compiere azioni che da sola mai avrebbe compiuto. Oltre all’esperienza, ecco dunque l’altro polo educativo: quello comunitario. Qualche tempo fa un parroco raccontava che un ragazzino suo parrocchiano si era vendicato di un piccolo torto subìto con inaudita violenza. Quando gliene chiese il motivo, il piccolo rispose: “Se non mi vendicavo, gli altri mi prendevano in giro”. Ecco, la paura di sentirsi giudicato un debole dal “branco” di appartenenza, aveva trasformato un mite ragazzo in violento vendicatore. L’azione educativa non può dunque prescindere dal gruppo. E, del resto, non fu proprio questo il metodo di Gesù, quando volle educare i Dodici al primario compito dei cristiani, che è l’evangelizzazione? Li chiamò a formare il collegio apostolico, che permane tuttora in quello “episcopale”.