Qualsiasi riflessione sul voto di domenica in Umbria deve tener conto di almeno due limiti.
Primo: il processo elettorale non si è concluso. Fra quindici giorni avrà luogo il ballottaggio per l’elezione dei sindaci. Alcune cose, dunque, possono essere già dette; per altre, e non delle meno importanti, occorre aspettare. Né conviene seguire l’illusione che i risultati del primo turno siamo automaticamente proiettabili sul secondo. Tra le cose che possono essere dette vi è che il “doppio turno” è l’unico sistema che, in condizioni come quelle “italiane” attuali, costringe chi vuole governare a ottenere il 51% dei voti validi. (Se non ci arrivi subito, devi andare al ballottaggio con il secondo arrivato). Si tratta di un’ottima ragione per preferirlo a tutti gli altri sistemi: proporzionale, turno unico, premi, ecc. ecc. È il sistema che vige in Francia. Le differenze si notano, e si capisce perché quasi tutta la casta politica italiana – vecchia e nuova – odia il doppio turno.
Secondo. Conviene limitare le osservazioni ai tre Comuni più grandi: Todi, Narni e Deruta. Gli altri, di dimensioni molto piccole, presentano caratteristiche talmente diverse, a partire dal campo dei concorrenti, da rendere arduo ogni confronto.
Con queste cautele, quattro elementi possono essere individuati.
1. Si trattava di elezioni comunali. Ciò non significa meno o più importanti di quelle nazionali; significa elezioni diverse. Il ceto politico nazionale e i media a maggiore diffusione le considerano elezioni minori, ma questo dipende dai loro interessi. Su certi aspetti della nostra vita il prodotto delle Amministrazioni comunali incide assai più di quello dell’Amministrazione nazionale. Essendo elezioni diverse, ciò che non si può fare è leggerle come se fossero elezioni nazionali. Decenni or sono, condizioni socio-politiche particolari riducevano la differenza tra elezioni comunali ed elezioni nazionali. Oggi essa è enorme. Sicché enorme è anche la differenza tra la capacità di mobilitazione dei due tipi di eventi politici e del grado con cui ciascuna agenzia può influenzarli. Ciò, insieme al calo della partecipazione elettorale, invita a constatare, ma anche a non enfatizzare, il fiasco dei 5 stelle. Il fiasco è reale, ma non è assolutamente detto che si ripeterebbe in elezioni politiche nazionali. Né lo si può escludere.
2. In Umbria continua il calo di consensi al Pd e al centrosinistra. Sia a Todi che a Narni, che a Deruta, diminuiscono rispetto alla consultazione amministrativa precedente sia i voti del candidato sindaco Pd, sia quelli alla lista, sia quelli all’insieme delle liste collegate. Conviene guardare ai valori assoluti, le percentuali possono confondere. Naturalmente l’effetto politico del calo dipende dai rispettivi punti di partenza. A Deruta la sinistra non prende il sindaco, a Todi va al ballottaggio con risultati peggiori rispetto a cinque anni prima, a Narni prende il sindaco per un soffio (mentre la volta scorsa al primo turno aveva sfiorato il 60%).
3. Il Pd in Umbria è sempre più solo un nome. Il partito a vocazione maggioritaria, il partito delle primarie, il partito riformista senza paura di “nemici a sinistra”, non si sa se sia mai nato, ma sicuramente è morto. Il Pd umbro, con la fattiva benedizione di Renzi, è fermo alle alleanze “progressiste” degli anni ’90 del secolo scorso. Non solo in Regione, ma anche nei Comuni. E questo vale non solo per le alleanze, ma anche per le politiche. Il sistema di potere dominante in Umbria è in chiara perdita di consenso oltre che di efficacia, ma il capitale da dilapidare è tanto. Nel frattempo, con grande coerenza, il Pd umbro mantiene lo sguardo ben fisso sul passato, confortato dall’affettuosa e acritica vicinanza di non pochi maggiorenti, tra i quali anche esponenti del mondo ecclesiastico.
4. Nelle condizioni descritte, e non generalizzabili, il centrodestra anche in Umbria è ancora competitivo. L’alternanza che si è avuta di recente a Perugia continua a non essere una eventualità isolata e improbabile. Questa è senz’altro una buona notizia per la democrazia, il cui primo propellente (necessario, ma non sufficiente) è il pluralismo e la competizione.
La brutta notizia, invece, è che ad Attigliano in corsa ci fosse un solo candidato sindaco. Se il calo di partecipazione politica prosegue e si somma alla estrema frammentazione del tessuto amministrativo comunale, casi come questo sono destinati a ripetersi, inserendo nella grave crisi sociale regionale (politica, economica, culturale, demografica, ecc.) un ulteriore elemento ad alta pericolosità.