Questa settimana la politica regionale è stata segnata dalla mancata discussione e approvazione della proposta di legge cosidetta “contro l’omofobia”. Ne parliamo a pagina 5, in sintesi, perché chi legge i giornali come chi ascolta i notiziari in tv o in radio, e ancor di più chi si informa sul web o sui social, sa già tutto, o almeno ha l’impressione di sapere tutto. E molto probabilmente sa già molte più cose di quelle che abbiamo riportato in queste pagine. E questa è una delle cause della crisi dei giornali, oggi più che mai costretti a ripensarsi.
La Voce, in più, è un settimanale, e la redazione ogni settimana cerca di mettere a fuoco alcune tra le molte notizie, i molti fatti, i molti dibattiti che attraversano il nostro quotidiano. E nel tentativo di capire quali sono le posizioni in gioco in questo scontro sulla proposta di legge regionale che ha il titolo di “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”, non abbiamo potuto fare a meno di notare quanto le parole sono usate per dire altro. Sì, perché se la legge fosse davvero contro l’omofobia, se fosse davvero uno strumento utile per eliminare discriminazioni e violenze credo che sarebbe facile essere d’accordo.
Il punto è che una legge non corrisponde mai allo slogan che l’accompagna. Gli esempi non mancano, a cominciare dalla 194 del 1978 che ha il titolo di “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” che ha consentito sì l’aborto legale, ma non ha portato sostanziali passi avanti nella tutela della maternità. Il nodo del contendere, per i contrari alla legge regionale in discussione, ruota attorno alla libertà di pensiero e di educazione dei figli su un tema così delicato come la definizione dell’identità sessuale, mentre per i sostenitori il nodo è la difesa delle persone omosesssuali, tasgender, bisex, ecc, dalle discriminazioni raggiungibile solo con la ”prevenzione” ossia educando i giovani, entrando nelle scuole. Anche in questa legge la scuola è vista come un “contenitore” in cui entrare per arrivare ai giovani a loro volta visti come “contenitori” da riempire. Ma la scuola non è questo, e ce lo ricorda un’insegnante di lunga esperienza (a pag. 11).
La scuola ha già il compito di educare al rispetto della dignità dell’altro, al dialogo, all’accoglienza, e lo fa laicamente. Stessa cosa dovrebbe fare la società, le istituzioni, la cultura, ma in questo mondo frammentato in cui si rivendica la dignità della donna, degli immigrati, dei portatori di handicap, dei malati, degli anziani e dei bambini ecc, sembra difficile poter tutti, credenti e laici, convergere sul riconoscimento della dignità dell’essere umano in ogni sua fase e condizione dell’esistenza, dal momento del suo concepimento al termine della sua vita.