Ricorre in questi giorni il 60° anniversario della firma dei trattati che hanno portato alla nascita dell’Unione europea. L’occasione è opportuna per tentare un bilancio, che ci permetta anche di azzardare qualche previsione per gli anni a venire. Non si può negare che alcuni importanti risultati sono stati raggiunti. È stato assicurato al Vecchio Continente un lungo periodo di pace, che ha consentito di rimarginare molte delle ferite provocate dalle tragiche vicende del “secolo breve”. È stata istituita la moneta unica, che ha funzionato da salvaguardia per l’economia di molti Stati, compresa l’Italia. È divenuto operativo un numero consistente di provvedimenti che hanno ridotto le distanze tra i Paesi, favorendo la libera circolazione delle persone e delle merci sull’intero suolo europeo. Ma sono stati mancati i traguardi che avrebbero conferito all’Europa un’identità conforme alle aspirazioni dei padri fondatori.
L’unità reale ed effettiva di tutti gli Stati si è arrestata al livello economico, senza contribuire peraltro al loro sviluppo e alla loro crescita. L’impoverimento complessivo che ne è scaturito ha determinato una forte riduzione delle possibilità di occupazione, con preoccupanti ricadute per le speranze dei giovani. In qualche modo, la stessa stabilità sociale in molti Paesi, compresa l’Italia, è oggi gravemente compromessa. L’unità non ha raggiunto il piano politico. Questo fatto ha reso l’Europa costitutivamente fragile ed esposta in ogni momento al rischio di andare in frantumi. All’esterno, non le ha consentito di adottare le opportune soluzioni contro il terrorismo e di svolgere un ruolo attivo sullo scenario mondiale.
Di fronte ai grandi eventi bellici che mietono vittime innocenti e distruggono patrimoni culturali millenari, l’Europa si è rivelata incapace di assumere una posizione unitaria e di far valere le proprie prerogative. Ha così permesso che il vicino Oriente fosse il banco di prova delle pretese egemoniche di Russia e America, tacendo colpevolmente nei riguardi dei disumani misfatti di cui si sono rese responsabili. Neppure i rapporti con i Paesi emergenti sono stati chiari e ispirati a una strategia attenta e lungimirante. Gli interessi nazionali sono prevalsi sugli interessi dei popoli, con la conseguenza che l’Europa non ha trovato, o non ha voluto trovare, una soluzione dignitosa al problema dell’immigrazione. L’egoismo a questo riguardo è stato così smaccato da far gravare l’inquietante questione esclusivamente sulle spalle della Grecia e dell’Italia. Il calcolo, però, come era da prevedere, si è rivelato sbagliato; infatti il flusso dei migranti non si è attenuato, ma ha messo a dura prova anche i Paesi post-comunisti che pensavano di evitarlo innalzando muri e barriere.
Non è questa l’Europa che avevamo immaginato; le radici di ispirazione cristiana ci avevano fatto sperare che fosse orientata a rispettare i diritti umani, non a lasciarsi trascinare dai populismi beceri e antistorici. Il rispetto della dignità umana avrebbe dovuto rappresentare uno dei cardini della sua azione politica. L’accoglienza degli immigrati, oltre che un segno di umana comprensione e di solidarietà, avrebbe dovuto essere avvertito come un dovere e declinato come un gesto di generosità nei confronti di chi è costretto a lasciare la propria terra per dare una prospettiva di vita ai propri figli. Forse, però, non tutto è perduto: l’Europa ha ancora la possibilità di riscattarsi. Le circostanze stesse la pongono dinanzi a questa sfida. L’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti ha reso incerto lo scenario mondiale. Non importa molto quali saranno i suoi rapporti con l’Unione Sovietica; dà a pensare invece il fatto che abbia iniziato una violenta battaglia contro l’immigrazione e aumentato in modo consistente i fondi per la difesa.
La Cina guarda con sempre maggiore interesse al di fuori dei propri confini. È improbabile che possa trovare una sponda accogliente al di là dell’Atlantico. L’Europa può rappresentare un’alternativa, e niente affatto di seconda mano. E l’Europa come si difenderà? Non potrà restare a guardare come ha fatto finora, ma dovrà affrontare i problemi che ha sempre accantonato. E allora dovrà recuperare il tempo perduto, assumendo una fisionomia nuova sul piano politico, promovendo lo sviluppo e la crescita economica, restituendo solidità alle banche, dando una risposta al problema dell’immigrazione e a quello dell’occupazione, soprattutto giovanile.