Le migrazioni offrono “una straordinaria e inedita opportunità all’ecumenismo” perché negli anni a venire i cattolici italiani saranno sempre più chiamati ad “esercitare l’accoglienza, la fraternità, quello che si chiama il ‘dialogo della carità’”. Con queste parole don Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo spiega perché la Cei ha scelto quest’anno di dedicare il convegno nazionale dei delegati diocesani al tema de “L’Ortodossia in Italia: nuove sfide pastorali, nuovi incontri spirituali”. Il convegno si è aperto il 1° marzo ad Ancona con una relazione introduttiva del card. Dionigi Tettamanzi. “L’incremento della presenza degli ortodossi in Italia – dice don Battaglia – è un fatto ormai evidente. I fedeli orientali non cattolici nel loro insieme costituiscono ormai la seconda comunità religiosa italiana. Questa rilevante presenza di cristiani, provenienti dai Paesi del Medio Oriente e soprattutto dall’Est europeo, sta dunque cambiando la geografia religiosa dell’Italia. Accanto alla tradizionale presenza del Patriarcato di Costantinopoli, sono sorte nel nostro Paese nuove parrocchie e anche diocesi ortodosse”. Oltre ad essere una opportunità per il dialogo ecumenico nel nostro Paese, “questa nuova realtà si traduce tuttavia in nuove domande che investono le diocesi e le parrocchie cattoliche. Le comunità orientali – dice il direttore dell’Ufficio Cei – chiedono luoghi per incontrarsi e per celebrare la liturgia; i matrimoni misti si moltiplicano; si moltiplicano le occasioni di incontro e le possibilità di collaborazione; i singoli fedeli talvolta domandano assistenza spirituale, catechesi per i bambini, sacramenti. Non sempre infatti la presenza di ministri di culto orientali non cattolici è in grado di soddisfare tutte le esigenze della crescente presenza di fedeli. Insomma, sempre meno l’ecumenismo è una questione per specialisti, ma una realtà quotidiana. L’Italia – conclude – torna a essere, in una maniera che magari non avevamo previsto, terra di incontri tra diverse tradizioni e culture cristiane. Dunque la presenza di fedeli orientali non cattolici è un’opportunità di arricchimento”. Anche l’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, ha sottolineato che “il panorama italiano, in passato caratterizzato sul piano religioso da sostanziale omogeneità, è oggi fortemente segnato dall’incontro, non di rado carico di difficoltà e di tensioni, tra diverse culture e religioni”. Ha poi aggiunto che, “in una simile situazione, noi cristiani siamo chiamati a offrire insieme una testimonianza unanime e concorde attraverso concrete opere di accoglienza nei confronti dei migranti, dei più poveri e deboli”. In questo contesto, “l’impegno ecumenico deve dunque trovare un posto tra le diverse forme in cui si dispiega l’azione della Chiesa”. È necessario che “le prospettive aperte dai dialoghi ecumenici possano diventare patrimonio di tutta la Chiesa” investendo sulla “formazione ecumenica di una nuova generazione di pastori e di fedeli che si preparano ad assumere responsabilità nella vita ecclesiale. Quando accogliamo tra noi questi cristiani – ha proseguito l’Arcivescovo – dobbiamo farli sentire a proprio agio, e fare in modo che la comunità cattolica sappia rispettare e valorizzare la loro diversa e ricca tradizione spirituale”. Da parte cattolica, ha spiegato Tettamanzi, “la nostra sollecitudine pastorale dovrà essere attenta ad aiutare le singole persone ortodosse a mantenere i contatti essenziali e sacramentali con i ministri e le comunità della propria Chiesa e, nello stesso tempo, a scoprire che al primo posto non c’è la propria tradizione confessionale, ma Gesù Cristo, il cui Corpo indivisibile è la sua Chiesa”. Secondo mons. Vincenzo Paglia, arcivescovo di Terni-Narni-Amelia, il maggior punto di incontro del confronto ecumenico è la Bibbia, che “è stata tradotta in 2.400 lingue, ma attende di essere tradotta in altre 4.500”. Punto che è stato al centro del Sinodo dei vescovi, al quale hanno partecipato per la prima volta rappresentanti protestanti e ortodossi. Presente al convegno di Ancona anche il vescovo Siluan, della diocesi ortodossa romena d’Italia, che ha definito il rapporto tra cattolici e ortodossi “intimo”. “La Chiesa cattolica ha fatto tanto per noi – ha detto – offrendoci accoglienza e spazi”. Gli ortodossi dell’Est Europa, “che sono sempre di più”, non vogliono “stare con le mani in mano: abbiamo organizzato strutture di assistenza e accoglienza nelle stazioni Termini e Tiburtina, allestito luoghi di incontro. E vogliamo fare conoscere di più la nostra cultura e i nostri valori”. Il convegno, che rientrava nelle iniziative di avvicinamento al Congresso eucaristico nazionale in programma ad Ancona nel 2011, è proseguito fino al 3 marzo con altri incontri e una mostra di icone bizantine.