La lealtà è il presupposto della fedeltà. Lealtà è parola che deriva dal latino legalitas: è un termine che indica correttezza, sincerità, coerenza; è su questo “corredo” di valori che si fonda la virtù della fedeltà, che è garanzia di stabilità, fiducia, reciprocità. C’è, anzitutto, la lealtà con se stessi, che consiste nel “vigilare sulla propria fragilità”, e c’è, poi, la lealtà con gli altri, che si traduce nel “fuggire ogni finzione”. Analogamente, c’è una fedeltà intesa come monologo, che si esprime nello “stimare l’altro degno di fiducia”, e c’è, ovviamente, la fedeltà concepita come dialogo ossia come capacità di “gareggiare nello stimarsi a vicenda”. Lealtà e fedeltà costituiscono un binomio inscindibile. In effetti, l’acqua stagnante dell’infedeltà ha la sua sorgente inquinata nella slealtà, che è alimentata dall’insincerità delle labbra e dalla doppiezza del cuore (cf. Sal 12,3-4). Sono soprattutto gli occhi a smascherare la slealtà di una persona. Solitamente chi è sleale non riesce a sostenere lo sguardo del fratello che ha di fronte e così si trova costretto a spingere gli occhi verso il basso, talvolta osando sciogliere l’imbarazzo con un abbraccio o addirittura con un bacio. Emblematico, al riguardo, è l’incontro di Giuda con Gesù nel Getsèmani: “Appena giunto, gli si avvicinò e disse: ‘Rabbì’ e lo baciò” (Mc 14,45). Giuda bacia il Signore per indicare il Maestro a quanti sono venuti con lui per arrestarlo; in realtà, il traditore si trova costretto a baciare il Signore perché i suoi occhi altezzosi, oscurati dalla superbia del cuore, non possono sostenere la luminosità del volto di Gesù. Come i disturbi del campo visivo dipendono dal nervo ottico, così l’occhio, che è la “lampada del corpo” (cf. Mt 6,22-23), se non è trasparente rende tenebrosi la mente e il cuore. Non c’è niente di più sleale, cioè impuro, di un bacio non introdotto e commentato dalla limpidezza degli occhi. Non c’è nulla di più falso di un abbraccio non annunciato e custodito dalla delicatezza dello sguardo. Non c’è niente di più infedele di un cuore infido (cf. Ger 17,9), che copre con astuzia i propri sentimenti e vela il pensiero con parole più untuose del burro (cf. Sal 55,22). Non c’è nulla di più ipocrita di un gesto di pietà che non sia ispirato da uno sguardo sereno perché benigno, limpido cioè luminoso, libero e dunque gioioso. Desta sempre profonda impressione quanto il Signore dice a Israele: “Io sapevo che sei davvero perfido e che ti si chiama sleale fin dal seno materno” (Is 48,8). Dove non c’è la semplicità della purezza d’intenzione, non può esserci la fedeltà di una dedizione totale! Non sorprende, pertanto, ma certamente addolora l’attualità della pagina evangelica nella quale Gesù avverte i discepoli dicendo loro: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici” (Lc 21,16). Se è disarmante prenderne atto, tuttavia è consolante la promessa di Gesù: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21,18). “Tutti possiamo constatare – ha osservato Benedetto XVI il giorno di Pentecoste – come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione (…), la comprensione e la comunione tra le persone sia spesso superficiale e difficoltosa (…). Comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi”. Questa diagnosi, tanto sofferta quanto serena, non risparmia nemmeno la Chiesa, “comunità di peccatori e luogo di grazia”!
Lealtà e fedeltà, binomio inscindibile
AUTORE:
Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno