E’ la domenica di Pietro. Sembra ormai lontana l’esperienza del Venerdì santo. Tre volte Pietro aveva negato di conoscere Gesù, lui che aveva giurato fedeltà fino alla morte, lui che è caduto miseramente travolto dai limiti umani, come noi in ogni momento della vita. Tre volte aveva tradito e tre volte oggi, nel racconto della terza apparizione del Risorto, Gesù gli chiede un’affermazione d’amore. La tradizione ebraica dice che, se un evento si ripete per almeno tre volte, diventa consuetudine. È consuetudine che l’indole umana ci porti a tradire il Signore, ma è ormai assodata anche la certezza del Risorto come riferimento, nonostante la difficoltà a riconoscerlo, così come ormai è assodata la presenza del Risorto nella vita incipiente della Chiesa, qui rappresentata nei sette discepoli (sette = totalità, universalità), nel primato di Pietro, nel riconoscimento del discepolo e nella missione. Oggi quindi la liturgia ci invita a una riflessione ecclesiologica: dal Risorto nasce la Chiesa, una Chiesa che contempla la sua dimensione celeste (Apocalisse) ma legata ancora alle difficoltà terrene (Vangelo), una Chiesa chiamata ad annunciare il Risorto anche nella prova (Atti degli apostoli), una Chiesa che fonda sull’amore verso Cristo (“Mi ami tu?”) la sua missione. Una Chiesa che, se getta le reti sulla parola del Risorto, sperimenta una pesca che comprende 153 grossi pesci: tutte le specie conosciute allora, cioè l’insieme di vari popoli nell’unica Chiesa, rete che non si spezza. Nello scenario del lago di Tiberiade, nell’ordinario della loro vita, Gesù incontra i discepoli. Tra loro vi è il discepolo fedele sotto la croce, che Lui ha affidato a sua madre, ma c’è anche chi l’ha tradito più volte e coloro che l’hanno abbandonato. Ma Lui si china su queste debolezze e va a incontrarli nel loro quotidiano ripreso a fatica. E nello scenario del nostro quotidiano Gesù si incontra con noi, con le nostre problematiche, con le nostre fatiche sperimentate nel pescare per tutta la notte senza vedere frutti. Sono difficoltà di relazione dentro e fuori la famiglia, difficoltà educative con i figli, difficoltà a essere fecondi di azioni positive per noi e per la società. Gesù si manifesta, ma non sempre ne riconosciamo la presenza.
“Avete nulla da mangiare?”. No, non abbiamo che i nostri limiti, le nostre incongruenze, le nostre difficoltà. Basterebbe gettare le reti sulla sua parola, affidarci a Lui, e la notte lascerebbe il posto all’alba, segnata e illuminata dalla luce della sua presenza. Basterebbe affidarci a Lui, e le nostre incongruenze si dissolverebbero e saremmo capaci di gridare, non a parole ma con la vita: “È il Signore!”, senza i tentennamenti del “chi sei?”, sapendolo presente e fedele nella nostra storia. Non lasciamoci scoraggiare dalle nostre notti infruttuose, non permettiamo che la quotidianità sia travolta dai nostri fallimenti, dalle delusioni e dall’impotenza. Coraggio! Gesù è sulla riva e ci aspetta. Ha già acceso un fuoco per noi e prepara del pane e del pesce da unire alle nostre fatiche per un pasto capace di rimetterci in moto e in missione. Ogni discepolo ha la sua missione. Come Pietro ha quella di “pascere i suoi agnelli”, così anche noi abbiamo la nostra missione nella Chiesa e nella società, singolarmente, come coppia, come famiglia. Una missione che trova il suo senso profondo e la sua luce prima nel riconoscere il Risorto, poi nel pasto preparato per noi (l’eucaristia) e consumato con i fratelli. Nel brano evangelico di oggi leggiamo il cammino di fede del discepolo che si sente amato: dalla visione di una croce che segna l’esistenza, da un sepolcro che pone una pietra su un passato di speranze e all’apparenza deluso, da una routine quotidiana che riprende senza colore, c’è il sorprendente incontro con il Risorto a ridare vita. Gesù ci chiede: “Mi vuoi bene? Vuoi essere mio amico, vuoi fare comunione con me?”. È la sua tenerezza, il suo amore di Sposo fedele che dimentica i tradimenti e trasforma il nostro cuore di pietra. È normale allora che anche noi, come Pietro, riusciamo a dire: “Certo, Signore, tu sai che ti amo. Tu sai tutto, tu sai che ti amo”. L’amore in Cristo e per Cristo non è altro che un inno di lode e di ringraziamento per i prodigi che Lui sa operare in noi, nella nostra storia, nelle nostre famiglie.