La società occidentale, che nell’Europa ha avuto ed ha il suo centro di irradiazione, nei secoli ha dato per scontate le radici cristiane, nelle quali si sono fuse e venute a sintesi altre radici. La stessa modernità umanistica ed illuministica non le ha messe in discussione, pur appellandosi ad un cristianesimo senza dogmi e senza chiese. Un laico razionalista come Croce, nel Novecento, poteva affermare “..non possiamo non dirci cristiani”. Oggi, per molti versi, sembra che la memoria si sia oscurata, addirittura per alcuni, eredi dell’illuminismo più radicale, condannata, perché responsabile, in forme rovesciate, dei totalitarismi moderni, politici e sociali, i grandi mali del cosiddetto “secolo breve”. A mio parere il processo di secolarizzazione, processo nel suo insieme non estraneo alle radici cristiane, anzi con esse profondamente intrecciato, più ancora del razionalismo laicista oe delle ideologie totalizzanti ha contribuito a eroderne, oggi, nelle coscienze, forse ancor di più che nei fatti, la percezione. La secolarizzazione, coniugandosi con il processo di globalizzazione in atto, tendenzialmente si muove nella direzione di un pensiero unico, dal profilo più basso possibile, agnostico sul piano religioso, sostanzialmente relativistico di fronte ai valori morali, in nome di un pluralismo spesso più dichiarato che effettivamente praticato. Ma la secolarizzazione-globalizzazione oggi si trova a dover fare i conti con due fenomeni dai risvolti inquietanti, uno interno, l’altro d’impatto con culture ad essa, in larga misura, estranee. Quello interno, potremmo definirlo il figlio “debole”, il nichilismo “disincantato”, conduce alla deriva dell’indifferentismo, dello scetticismo rinunciatario, del relativismo, dell’utilitarimo, che minano le basi stesse della convivenza democratica, intesa non solo in senso formale, ma sostanziale. Il secondo fenomeno è rappresentato dall’insorgere del fondamentalismo religioso e non solo, come risposta antitetica alla stessa secolarizzazione e difesa forte della propria identità contro ogni omologazione riduttiva. Proprio la deriva nichilista e l’aggressività fondamentalista impongono la domanda sulle radici dell’Europa, specificatamente le radici ebraico-cristiane, e l’urgenza di confrontarsi con esse sul piano innanzitutto educativo, per rinnovare nei giovani i valori ideali (l’ethos di fondo) del nostro convivere e delle forme istituzionali e sociali che ne sono state ispirate, direttamente o indirettamente. La discussione sull’inserimento di un richiamo alle radici ebraico-cristiane nella carta costituzionale d’Europa è problema importante ma, tutto sommato, secondario, e addirittura potrebbe rappresentare un rischio, quello della riduzione del cristianesimo a religione civile, buona per tutti gli usi, quasi sanzione sacrale ad un sistema nel suo insieme, pericolosa non solo per la laicità dell’Unione, ma anche per la trascendenza della fede. La discussione ben venga, diversamente, se provoca un sussulto non tanto di orgoglio identitario quanto di rifondazione-ricentramento-purificazione di una serie di acquisizioni della nostra civiltà, che hanno nelle radici bibliche una delle pricipali fonti e garanzie. Dall’idea di creazione prende forza la scienza e la tecnica; dal senso della storia lo stesso concetto di “rivoluzione” e di progresso, dal senso della trascendenza, sia in senso verticale che orizzontale, dell’uomo, la “desacralizzazione” del potere, la laicità e la democrazia; dal senso dell’incarnazione, la partecipazione solidale alla vita degli uomini, ecc. La parola biblica non rappresenta semplicemente un codice di lettura per il ricco patrimonio artistico (“l’immensa eredità di intelligenza e bellezza”, Olivier Clement) di cui siamo detentori, ma è chiave ermeneutica di un complessivo sistema di vita, con cui è bene confrontarsi, perché è esso stesso a rischio. Il problema vero, e questo spiega gli appelli di Giovanni Paolo II, è che in giro si avverte una stanchezza “morale”, per non dire “mortale”, di gente “annoiata”, che ha consumato molte risorse del proprio patrimonio spirituale, o comunque ne ha perso il sapore e il ricordo, anche perché spesso in molti concorrono a fargli credere che quello che conta è solo “consumare”, anche la propria libertà, in funzione di un sistema di mercato onnivoro. L’Europa e l’intero occidente, a fronte di una “desertificazione” delle coscienze morali e religiose, senza più il sostituto delle fedi secolari, come le ideologie, turbato dall’aggressività fondamentalista, è, in qualche modo, provocato a recuperare un’identità, oltre il “mercato” e oltre ogni volontà di ostile contrapposizione, nella direzione dei valori della convivenza solidale ed ospitale, del rispetto reciproco, della giustizia, della pace, che appartengono alla sua matrice ebraico-cristiana, malgrado tutti i tradimenti ed anche gli usi strumentali ed esclusivi. Su questo piano le agenzie educative, come la scuola, le stesse chiese, possono ricoprire un ruolo decisivo, perché ad esse è assegnato il compito di formare coscienze critiche. La nostra è una civiltà proteiforme, non la si può accogliere né rifiutare in blocco. Dalle stesse radici ebraico-cristiane sono usciti frutti buoni e cattivi, i primi per diretta germinazione, i secondi per derivazione-divaricazione-appropriazione-distorsione. Andare a quelle radici nell’opera educativa significa recuperarne la coscienza critica e il principio fondante, onde saper discernere il positivo dal negativo (né acriticamente moderni, antimoderni o postmoderni), ritrovare il senso della propria vocazione storica, nel tempo ed oltre, per sfuggire alla deriva nichilista oe integralista, sulla quale prosperano i fondamentalismi e le più torbide suggestioni pseudosacrali. L’educazione, in senso specificamente cristiano e non solo, deve far crescere l’uomo “interiore”, l’uomo capace di rapportarsi con il mondo e gli altri, rivendicando la propria dignità di uomo, libero da e disponibile con tutti, non “funzionario” di un sistema, quale esso sia.
Le radici cristiane dell’Europa nell’opera educativa oggi
RADICI CRISTIANE DELL'EUROPA / 12 L'intervento di don Fausto Sciurpa
AUTORE:
Don Fausto Sciurpa