L’oggi del Concilio: la novità. Questo il tema al centro del primo laboratorio dedicato all’assise del 1962-65, recentemente organizzato a Perugia da Ac, Meic, Acli, Csi, Fuci e Amci, in collaborazione con La Voce. Ma come parlare di una “novità” che affonda le sue radici in quasi mezzo secolo di storia? Le parole di don Elio Bromuri aiutano a vedere come quei cambiamenti che il Concilio prospettava per la Chiesa fossero rivoluzionari per il tempo e, allo stesso modo, attuali ai nostri giorni.
La modernità del Vaticano II trova forza proprio in quel presupposto che ha guidato la sua apertura: “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv 16,13). In virtù di ciò, i Padri conciliari sono stati chiamati a guidare una Chiesa che doveva tornare nel mondo come segno universale di salvezza. Quella stessa Chiesa, quello stesso popolo di Dio, riscopre oggi quella missione che è rimasta sopita per lungo tempo: il cristiano è chiamato ad essere profeta di speranza, e la Chiesa deve ricordare all’uomo che non è solo, che esiste questa speranza, che ha un senso avere fiducia, fede.
Ecco come il messaggio lanciato cinquant’anni fa trova piena aderenza anche, e soprattutto, ai giorni nostri dominati da una perdita di fiducia nel mondo, nelle istituzioni, nelle persone, nella Chiesa stessa. Vivere oggi la novità del Concilio significa rimettere al centro il motore che ha dato lo slancio ad un nuovo modo di vedere il popolo di Dio all’interno della quotidianità, un popolo che non rimane più arroccato nelle sue posizioni, ma che si sparge in mezzo alla gente per dare un nuovo sapore alle relazioni, per essere sale e luce del mondo.
L’oggi del Concilio diventa così l’oggi dello Spirito, Spirito che ispira il popolo a camminare, passo dopo passo, entro quegli orizzonti che ancora oggi profumano di saggia e santa lungimiranza. Orizzonti di una preghiera universale, per giusti e ingiusti, per cristiani e per non cristiani, orizzonti in cui si riscopre la ministerialità dei battezzati, tutti consapevoli e consacrati a partecipare all’opera di salvezza di Dio, orizzonti in cui il messaggio cristiano è chiamato a rimanere saldo nei contenuti ma aggiornato nei modi di arrivare alle persone. Si apre la prospettiva di una evangelizzazione che non sia più deduttiva, asetticamente valida per ogni uomo, ma che sappia vivere di induzione: “Se nel nostro tempo serve speranza, allora portiamo speranza”.
Alla domanda delle persone di rientrare in contatto con il messaggio evangelico ecco che si risponde con una liturgia che si riavvicina all’assemblea, con una Chiesa che torna ad essere il popolo di Dio, certo non in senso populista, ma secondo la definizione prima di popolo di Israele, ovvero popolo scelto da Dio per mettersi in cammino insieme verso la Terra promessa. In questo popolo ci siamo noi, c’è il Papa, c’è Maria madre dei cristiani, e ci sono pure tutti gli attriti e le differenze che questo popolo è chiamato a vivere.
La novità del Concilio: il popolo di Dio non è più chiamato a essere una cittadella nel mondo, a essere l’ultimo baluardo difensivo contro gli attacchi della società, ma è chiamato a essere vessillo lungo la strada che guida il popolo di Dio verso la salvezza, nella storia.