Ci stiamo ormai avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Il brano del Vangelo che viene annunciato in questa domenica fa parte del “discorso escatologico” (“delle realtà ultime”), che in Marco comprende tutto il capitolo 13 (è il discorso più lungo riportato dal secondo evangelista). Gesù è appena uscito dal tempio, dove ha fatto l’elogio di una povera vedova che ha gettato nel tesoro tutto quanto aveva per vivere, e si sta dirigendo verso il monte degli ulivi da dove si può ammirare lo splendore del tempio. I discepoli, guardando questa incredibile costruzione ne restano colpiti, e uno di loro dice a Gesù: “Maestro, guarda che pietre e che costruzione!”. Ed in effetti si trattava di un complesso architettonico che suscitava le meraviglie di chiunque lo avesse veduto.
Nello stesso Talmud si legge: “Chi non ha visto ultimato il santuario in tutta la sua magnificenza, non sa cosa sia la sontuosità di un edificio” (Sukka 51b). Gesù, quasi interrompendo le affermazioni di meraviglia del discepolo, dice a tutti che di quella costruzione non sarebbe rimasta pietra su pietra. I discepoli, al sentire queste parole, restano ovviamente stupiti e increduli. I tre più intimi, cui si aggiunge Andrea, subito chiedono quando tale disastro dovrebbe accadere. E Gesù risponde con un lungo discorso nel quale descrive gli avvenimenti degli ‘ultimi giorni’. Il brano evangelico che è stato annunciato in questa domenica (Mc 13, 24-32) riporta il punto culminante del discorso. Gesù dopo aver parlato della “grande tribolazione” di Gerusalemme, annuncia che seguiranno sconvolgimenti cosmici: “Il sole si oscurerà e la luna non darà più chiarore; le stelle precipiteranno giù dal firmamento e le forze del cielo saranno sconvolte”. E aggiunge: “Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
Quando egli verrà porterà un cambiamento radicale sia nella vita degli uomini che nella stessa creazione. Per esprimere questa trasformazione profonda – una sorta di violenta interruzione della storia – Gesù riprende il linguaggio tipico della tradizione apocalittica allora molto diffusa, e parla di crollo cosmico, di scardinamento del sistema planetario. I testi della Scrittura non avallano però una sorta di “teoria della catastrofe”, secondo la quale deve esserci prima l’inabissarsi del mondo in un completo fallimento per poter quindi attendere finalmente Dio che volgerà al bene ogni cosa. No, Dio non arriva alla fine, quando tutto è perduto. Egli non rinnega la sua creazione, nel libro dell’Apocalisse infatti, leggiamo: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (4, 11).
La Scrittura, in tutte le sue pagine, esorta piuttosto ad operare (e ad invocare) per l’instaurazione di una creazione nuova secondo l’immagine della città futura descrittaci nelle pagine finali dell’Apocalisse: “Vidi un cielo nuovo ed una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (21, 1-2). Lo sconvolgimento del creato, che ci sarà, è finalizzato appunto all’instaurazione di questa “Gerusalemme” ove tutti i popoli della terra saranno radunati come in un’unica grande famiglia. Se del tempio che vedevano gli apostoli non sarebbe rimasta pietra su pietra è perché nella futura Gerusalemme non ci sarà più un tempio, appunto come sta scritto: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21, 22).
Gesù parla di “ultimi giorni”, ma dice anche che tali rivolgimenti avverranno in “questa generazione”, ossia nel tempo che coinvolgeva i suoi ascoltatori. Del resto era la stessa presenza di Gesù a realizzare lo sconvolgimento del corso normale della vita del mondo; basti pensare a quanto accadeva con la sua predicazione e a quanto accadde con la sua resurrezione. L’irruzione del “figlio dell’uomo” era ormai avvenuta e sarebbe continuata per tutte le generazioni che si sarebbero succedute lungo la storia. È suggestiva l’espressione usata da Gesù sulla prossimità degli “ultimi giorni”. Egli dice: “sappiate che ciò è alle porte”. Questa immagine è usata anche altre volte dalle Scritture per esortare i credenti ad essere pronti per accogliere il Signore che passa. “Ecco, il giudice è alle porte”, scrive Giacomo nella sua lettera (5, 9). E l’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3, 20).
Alle porte di ogni giornata della nostra vita c’è il Signore che bussa, c’è il “giorno ultimo” che attende di essere accolto, c’è il giudizio di Dio che intende trasformare il tempo che già ora viviamo. La Scrittura ci invita ad avere davanti agli occhi questo futuro verso cui siamo diretti: la fine del mondo non è la catastrofe, ma l’instaurazione della città santa che scende dal cielo. Si tratta di una città, ossia di una realtà concreta non astratta che raccoglie tutti i popoli attorno al loro Signore. Questo è il fine (e, in certo modo, anche la fine) della storia.
Ma questa città santa deve essere seminata già da ora nei nostri giorni, perché possa crescere e trasformare la vita degli uomini a sua immagine. Non si tratta di un innesto automatico e facile. Gesù parla anche di opposizioni e persino di tradimenti, insomma di un cammino che richiede vigilanza, attenzione e anche lotta. E tuttavia non manca di assicurare i suoi della sua protezione. Dice loro: “nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. C’è quindi la fatica quotidiana che ogni credente deve compiere per costruire il mondo nuovo che Gesù è venuto ad iniziare. Ma la perseveranza nell’ascolto del Signore e nella sua sequela sono la garanzia della salvezza ricordando quanto Gesù ha detto: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.