Un’esperienza bellissima. Le otto Chiese diocesane dell’Umbria hanno elaborato un modello comune, dove tante persone, che sono passate attraverso la sofferenza e lo sbandamento o che ritengono di dare concretezza radicale al Vangelo in un linguaggio comprensibile alla gente del nostro tempo, possano vivere la carità. Sono soprattutto giovani, ma non solo giovani. Sono storie che si concretizzano a San Fatucchio e presso il santuario della Madonna di Bagni per Perugia-Città della Pieve, a Villa San Faustino per Orvieto-Todi, a Eggi di Spoleto, a Gubbio e ad Assisi. Al Colle dei Cappuccini di Foligno e nella municipalità di Klina, presso la parrocchia di Zllokucane in Kosovo, due case sono rigorosamente animate dalla partecipazione di tutte le nostre diocesi. Si tratta di un’esperienza ecclesiale nuova, perché frutto di collaborazione intensa delle nostre Chiese nell’esercizio della carità. Il tema principale di riflessione comune è la gratuità. Ci sembra assai bello uscir fuori dal concetto di ‘opera’, intesa come istituzione, prodotto di un gruppo organizzato, sostenuto da un determinato patrimonio. Educare alla carità come dono di sé, come partecipazione, come farsi carico delle difficoltà degli altri è uno degli obiettivi principali che Caritas Italiana si era data, all’atto della sua fondazione nel dopo Concilio. Le case della carità sono ‘luoghi’ delle varie diocesi, non solo perché a loro appartengono, ma soprattutto perché intendono essere crocivia dove le Chiese si incontrano con chi è nel bisogno, sia esso materiale o fisico, rilevante sotto il profilo sociologico o più semplicemente disagio dell’anima. In qualche modo tutti partecipano della ‘accoglienza’ (che è l’ultimo dei precetti della parenesi del XII capitolo della Lettera ai Romani). Non vi è discriminazione tra le persone. Chi più ha fatto strada aiuta chi ne ha fatta di meno; chi ha competenze le mette al servizio comune. Anche chi ha solo sofferenza la condivide con gli altri: tutto per amor di Gesù. Non vuol essere una ‘fondazione’ e neppure una ‘aggregazione’. C’è spazio per laici e per presbiteri, per religiosi e religiose, per giovani famiglie, per ragazzi alla ricerca del senso della vita e per anziani bisognosi di un po’ d’amore. Si accolgono tutti, alla maniera di S. Benedetto, che chiedeva all’abate di domandare al nuovo arrivato dove volesse andare, non già da dove provenisse. La fraternità di S. Francesco e il dono della letizia dello Spirito vorremmo che fossero sempre presenti, nelle mutue relazioni, ma anche nei momenti di difficoltà e di prova. Non si pretende niente, non si rivendica, si è solo contenti di attingere a piene mani alla tradizione della Chiesa. Il metodo richiama S. Giovanni Bosco; l’ambientazione è tutta umbra, anche nei Balcani, pure quando gente di altre culture si affiancano a noi. Benedettina è l’esperienza di alternare la preghiera e il lavoro, la meditazione e lo studio, ma anche la vicinanza alla terra e agli animali, all’agricoltura e alla bellezza del creato, fino a quando la preghiera si fa poesia e la povertà una proposta alla maniera francescana. Ci pare che sia un’esperienza da condividere e quindi da far conoscere. Ci rallegra il sostegno di tutti i nostri Vescovi e l’attenzione che, al nostro vissuto, stanno dando anche altri Pastori della Chiesa. Rispettiamo tutti. Da tutti vogliamo imparare, ma vogliamo essere semplicemente Chiesa, la Chiesa di Gesù così com’è presente nelle otto diocesi d’Umbria. Ci rallegra la scelta di Caritas Italiana, che ha voluto venire in Assisi dal 23 al 26 giugno per fare il proprio convegno nazionale, accanto a noi. La nostra fiducia nella Divina Provvidenza e l’attenzione a leggere i segni dei tempi sono le principali risorse di questa piccola, ma significativa avventura di carità.
Le case della carità
Parola di vescovo
AUTORE:
' Riccardo Fontana