Serve un “nuovo modello di sviluppo regionale” perché la bella epoca del “socialismo appenninico” è finita. Un modello economico “sostenibile, equo e solidale, orientato al bene comune e all’interesse generale” spiega in un’intervista a La Voce il segretario regionale della Cisl, Ulderico Sbarra.
Il lavoro che può garantire dignità alle persone dovrà stare al centro di un “progetto politico per l’Umbria del futuro” concordato e sostenuto anche da sindacati e imprenditori.
Un progetto basato su industria e manifattura 4.0, servizi avanzati e reti, digitalizzazione, startup innovative, formazione permanente e sulla filiera turismoambiente- cultura, “motori” concreti e prevalenti per ricostruire un percorso di crescita dell’Umbria, con al centro la produttività e la gestione territoriale dei problemi.
Il “male oscuro”
Nella passata epoca del “socialismo appenninico” – prosegue Sbarra – l’economia cresceva con tanti posti di lavoro nella pubblica amministrazione e soldi, anch’essi pubblici, distribuiti a pioggia, nella visione di “un’Umbria policentrica” che ora però non esiste più. La globalizzazione ha rivoluzionato società e economia, scaricando i problemi sul territorio. La crisi demografica, con l’invecchiamento della popolazione e la “fuga dei giovani”, ha portato allo spopolamento di tanti centri dell’Umbria.
Ci sono meno soldi pubblici da spendere, per cui “la produttività e la ricchezza prodotta in loco” – sottolinea Sbarra – sono la strada da percorrere per risalire dalla crisi, che a partire dal 2008 ha duramente colpito l’Umbria, relegandola agli ultimi posti tra le regioni italiane per Pil, consumi e occupazione. Peggio di alcune regioni del Sud.
Per il segretario della Cisl (circa 80 mila iscritti in Umbria, con 19 federazioni sindacali di categoria e 9 enti e associazioni) questo “male oscuro” che tuttora affligge la nostra regione va indagato e curato nella visione di una “cen- tralità del territorio” che però deve comprendere anche interazione, collaborazione e scambio con le Regioni limitrofe della cosiddetta “Italia di mezzo”.
L’Umbria, con i suoi 800.000 abitanti, non ha infatti la “massa critica per un efficiente piano di sviluppo”. Sbarra non pensa alla creazione di una macroregione unica Umbria-Toscana-Marche, bensì a progetti comuni di marketing territoriale, con un sistema integrato di servizi e infrastrutture (strade, ferrovie, aeroporti), per migliorare l’“attrattività” anche dal punto di vista turistico e imprenditoriale.
Riordinare gli strumenti
La Cisl, insieme a Cgil e Uil, ha presentato alla Regione un progetto comune per un nuovo modello di sviluppo, nel quale si chiede anche – ha detto Sbarra di “riordinare gli strumenti” di intervento, in particolare l’assessorato allo Sviluppo economico e le agenzie – a esso collegate – Sviluppumbria e Gepafin.
Uffici ed enti che, evitando certi errori del passato, devono impegnare risorse e competenze in tre ambiti prevalenti: innovazione e ricerca; gestione delle crisi aziendali e territoriali; mercato del lavoro innovativo e dinamico, politiche attive e centri per l’impiego.
“La Regione – secondo il segretario della Cisl – ha il merito di avere riaperto il confronto con il sindacato (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce).
Enzo Ferrini