L’Anno sacerdotale, appena concluso, non ha conosciuto tutte le stagioni: il fervore della primavera, lo splendore dell’estate, il colore dell’autunno e il rigore dell’inverno. Sembra quasi che la primavera sia stata bruscamente interrotta da un duro colpo di coda dell’inverno! Non si è trattato di un “anno giubilare” e nemmeno di un “anno sabbatico”, e tuttavia, quello appena concluso, è stato un “anno di grazia”, di cui è impossibile misurare i frutti che attendono di giungere a maturazione. Con mite fermezza Benedetto XVI ha retto il timone della barca della Chiesa, scossa dai gorghi di un mare agitato, esortando i presbiteri a ravvivare il dono ricevuto con l’imposizione delle mani e raccomandando ai fedeli di sostenere i loro Pastori con la preghiera e la penitenza. Nel rilevare che il sacerdozio ministeriale non è semplicemente “ufficio”, ma sacramento, che ha una radicale “forma comunitaria”, il Papa ha posto l’accento sul dittico “consacrazione-missione”, osservando che “dalla certezza della propria identità, non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata ed accolta, dipende il sempre rinnovato entusiasmo del sacerdote per la missione”. A margine di questa sottolineatura Benedetto XVI ha precisato che “se la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, ciò non toglie nulla alla necessaria, anzi indispensabile tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale”. Non senza stupore per l’audacia di Dio che nasconde in un “vaso di creta” uno straripante tesoro, il Papa ha esortato i presbiteri alla fedeltà e alla lealtà alla propria vocazione: fedeltà nel seguire il Signore e lealtà nel servirlo, ben sapendo che è impossibile rimanere fedeli al dono ricevuto senza essere leali nel vigilare attentamente su se stessi. “Non stanchiamoci mai – ha raccomandato Benedetto XVI nel suo recente viaggio a Cipro – di meravigliarci di fronte alla grazia straordinaria che ci è stata data, non cessiamo mai di riconoscere la nostra indegnità, ma allo stesso tempo sforziamoci sempre di diventare meno indegni della nostra nobile chiamata, in modo da non indebolire mediante i nostri errori e le nostre cadute la credibilità della nostra testimonianza”. Nel sollecitare i presbiteri a comprendere, con rinnovata e lieta coscienza, la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale, il Papa ha proposto loro, come modello, la figura del Curato d’Ars, il quale, coltivando un’alta tensione spirituale, ha sviluppato una forza trainante in funzione della vita pastorale e, al contempo, ha reso evidente che la testimonianza personale resta sempre una via di grande efficacia vocazionale. La storia di ogni vocazione, infatti, si intreccia quasi sempre con la testimonianza di un sacerdote che vive con maturità, letizia e dedizione tanto la dimensione sponsale del ministero ordinato, quanto il carattere paradossale della sproporzione tra la chiamata divina e la temerarietà della risposta umana, che porta “insieme” la responsabilità e il dono dell’audacia di Dio!
L’audacia di Dio
parola del vescovo
AUTORE:
† Gualtiero Sigismondi