Il brano del Vangelo che leggiamo oggi contiene tre parabole di Gesù; la prima, più ampia, è conosciuta come parabola della zizzania. È divisa in due parti: il racconto e la spiegazione, distanziate tra loro. La spiegazione è fortemente allegorizzata dalla tradizione apostolica fino ad apparire una specie vocabolario dei termini usati. In mezzo si succedono altre due mini-parabole, quella del granellino di senape e quella del pugnetto di lievito. Sono come due immagini flash scattate sul ciglio della strada e nel cortile di una casa palestinese. Gesù aveva un acuto spirito di osservazione e sapeva dare anche agli eventi più comuni un significato religioso, usandoli come immagini per descrivere il comportamento di Dio nella storia.
Alla gente semplice del suo popolo diceva: Dio si comporta così, come il proprietario dal campo inquinato, come l’uomo che pianta un albero di senape nel suo orto e come la donna che impasta il pane. Ogni parabola illustra un aspetto importante dell’agire di Dio nella storia. Se volessimo trovare un elemento comune a tutte tre le parabole, dovremmo dire che trattano della grande pazienza di Dio che sa programmare come il contadino e la donna i tempi lunghi del suo lavoro. Dio è tollerante nei nostri confronti perché vuole la nostra piena salvezza. Egli non vuole perdere nessuno di noi. È una grande lezione per noi, che viviamo in una società sempre più intollerante e violenta, e minacciamo di esserne contaminati. Iniziamo dalla prima parabola, quella della zizzania. Siamo portati di nuovo nelle campagne palestinesi dove il proprietario di un podere, che ha a suo servizio alcuni salariati, ha seminato i suoi terreni.
Alla fine dell’inverno manda alcuni di loro ad ispezionare il seminato e questi scoprono che i campi sono inquinati dalle erbacce, che minacciano la crescita del buon grano. Eppure il padrone ha fatto seminare grano ottimo; da dove viene allora quella zizzania infestante? Il padrone sa di avere nemici e sicuramente qualcuno di loro ha tentato di rovinargli il raccolto. I servi impazienti vorrebbero andare subito a carpire l’erbaccia, ma il padrone ne frena l’ardore, perché è impossibile intervenire senza danneggiare maggiorante il buon grano. Bisogna aver pazienza, “lasciate che l’una e l’altra crescano insieme fino alla mietitura. Solo allora dirò ai mietitori: separate la zizzania e bruciatela; il grano buono raccoglietelo e riponetelo nel granaio”. Gesù ha raccontato questo episodio per rispondere ai puritani del suo tempo, che sognavano una società di santi e non sopportavano la presenza di peccatori. Conosciamo l’intolleranza degli zeloti e dei farisei nei confronti dei pubblicani e dei peccatori. Speravano che il Messia facesse piazza pulita di tutti gli operatori di male.
Gli Esseni avevano iniziato una comunità di puri e di sani, dove non ammettevano né peccatori né malati. Gesù invece era amico proprio dei pubblicani e dei peccatori, e andava in cerca dei malati per guarirli. Doveva costituire uno scandalo insopportabile. Gesù testimoniava con le parole e con le azioni che il Padre del cielo è paziente e misericordioso verso tutti, che il periodo della vita umana sulla terra è tempo di accoglienza e di perdono. Dio rispetta i tempi di crescita e di evoluzione di ciascuno, in attesa di conversione. Il giudizio e la cernita tra buoni e cattivi verrà alla fine. Questo momento è illustrato in dettaglio dalla spiegazione allegorica della parabola, aggiornata dalla catechesi apostolica. Non ha bisogno di spiegazione perché è chiara come i lemmi di un vocabolario. Le due mini-parabole del granellino di senape e del pugnetto di lievito portano in scena un uomo e una donna, quasi ad abbracciare l’esperienza degli ascoltatori di ambedue i sessi. La prima fa riferimento ai cigli delle strade e ai campi della Palestina, dove ancora cresce abbondante l’albero della senape. Faceva impressione a tutti che quell’albero ramificato e alto fino a tre metri nascesse da un semino più piccolo di una pulce. Gesù ha il coraggio di assumerlo come simbolo del Regno dei cieli da lui portato.
Tutti aspettavano la venuta del Regno di Dio come una deflagrazione universale grandiosa che avrebbe cambiato il mondo. Molti perciò erano delusi dalla piccolezza degli inizi come la stava vivendo Gesù. Il potere salvifico di Dio (il Regno) iniziava a manifestarsi in un piccolo gruppo di credenti radunati da Gesù attorno a sé, miti e pacifici uomini del lago e dei campi. Dio non ha fretta, comincia dal poco, dai piccoli, cambiando il loro cuore. Poi la sua azione crescerà nel mondo come un albero dove gli uccelli vengono a nidificare. Basta saper aspettare. Al tempo di Matteo quell’albero era già nato e cresceva ormai sulle rive del Mediterraneo. L’ultima parola della storia sarà quella di Dio e il punto di arrivo finale sarà un regno universale. La parabola del lievito approfondisce l’idea della potenza salvifica di Dio, destinata a fermentare dall’interno la massa umana. Tutte le donne sapevano fare il pane, era un’attività domestica che ripetevano quasi tutti i giorni nei cortiletti delle case. Ma questa donna sta impastando una massa enorme di farina, quasi quaranta chili (tre staia) di farina, come se avesse una festa con almeno 150 invitati da sfamare.
Il pugnetto di lievito, come quello che ogni donna conservava in casa per uso domestico, era poca cosa per tanta farina. Eppure quel piccolo fermento acido di pane invecchiato riesce a fermentare lentamente quella grande massa di impasto. Miracolo della natura, ma anche miracolo di Dio, dice Gesù. Il potere salvifico di Dio agisce silenziosamente nel cuore degli uomini, come quel cucchiaio di lievito con cui la donna sta preparando il pane per un banchetto di festa. Anche Dio sta preparando il grande banchetto finale, al quale tutti siamo invitati. Ma lo fa senza grandi gesti esterni miracolosi, capaci di sorprendere e meravigliare. Lo fa nel segreto di ogni cuore che si lascia plasmare dalla Sua parola. Il lievito si ricavava dalla pasta fermentata. Questo ci dice che noi, pasta di Dio, dobbiamo a nostra volta diventare lievito per fermentare con l’esempio, la parola e la grazia chi vive al nostro fianco nella vita di ogni giorno. Siamo piccola cosa, ma con effetti grandiosi. L’importante è sentire questa responsabilità nella Chiesa.