La correzione fraterna è un’arte tanto necessaria quanto sconosciuta: tutti siamo chiamati a viverla e ad accoglierla. Correggere non vuol dire umiliare chi si è allontanato dalla verità, ma ricondurlo sulla retta via (cf. Gc 5,19-20) sorreggendolo “con spirito di dolcezza” (cf. Gal 6,1). “Il rimprovero cristiano – scrive Benedetto XVI nel suo Messaggio quaresimale – non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello”. Discrezione e mitezza, fermezza e chiarezza: questi sono gli “ingredienti” della correzione fraterna, che la tradizione della Chiesa annovera tra le opere di misericordia spirituale. Anzitutto la discrezione: è Gesù stesso a raccomandarla quando invita ad ammonire il fratello in privato; se questo non fosse sufficiente, si renderà necessario coinvolgere una o due persone. Solo se la parola di due o tre testimoni non dovesse bastare si dovrà ricorrere all’assemblea (cf. Mt 18,15-18). È ovvio che quest’ultima eventualità ha valore medicinale, così come la gradualità dell’intervento ha efficacia terapeutica. Oltre alla discrezione è necessaria la mitezza: emblematica, al riguardo, è la testimonianza di Gesù il quale, nel riprendere Marta, affannata e agitata “per molte cose”, la chiama due volte per nome, facendole sentire la dolcezza della carica di affetto che lo muove. Poi, con mite fortezza, le indica l’errore senza inutili giri di parole; infine, le mostra la via da seguire, additandole l’esempio di sua sorella, di nome Maria (cf. Lc 10,38-42). La mitezza non sarebbe tale se non si esprimesse nella fermezza, quella usata da Gesù nei riguardi di Pietro, il quale, dopo il primo annuncio della Passione, prende il Maestro “in disparte” e lo rimprovera per la decisione con cui sale a Gerusalemme. Il Signore, voltandogli le spalle e guardando i discepoli, lo ammonisce severamente: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (cf. Mc 8,33). Nella correzione fraterna non può mancare la chiarezza di parlare “a viso aperto”, di cui dà prova Paolo nel suo acceso confronto con Pietro. Senza ricorrere al genere letterario dei “silenzi pavidi e cortigiani”, Paolo biasima Cefa “in presenza di tutti”, facendogli notare l’ipocrisia del suo comportamento timido e incerto nel riconoscere la validità dell’evangelizzazione dei pagani, liberata dai condizionamenti della Legge (cf. Gal 2,11-21).“Chi chiude un occhio causa dolore, chi riprende a viso aperto procura pace” (Pr 10,10). Questa sentenza del libro dei Proverbi sottolinea la necessità e l’importanza della correzione fraterna, la quale, oltre ad essere criterio di verifica della qualità delle relazioni umane, è il sigillo di garanzia delle stesse relazioni ecclesiali. È san Paolo a lasciarlo intendere quando scrive: “Ammonite chi è indisciplinato, fate coraggio a chi è scoraggiato, sostenete chi è debole, siate magnanimi con tutti” (1 Ts 5,14). Vigilare su se stessi è, senz’altro, il presupposto della correzione fraterna (cf. Gal 6,1), la quale è una missione profetica di aperta denuncia delle “opere delle tenebre” (cf. Ef 5,11; Lv 19,17). Vigila su se stesso chi, nella consapevolezza di essere peccatore, è pronto ad accogliere qualsiasi richiamo senza rattristarsi e, soprattutto, senza irritarsi. Tristezza e irritazione sono “derivati” dell’orgoglio e della superbia, che si configurano come nemici irriducibili non solo della correzione fraterna, ma anche del cammino di conversione.
L’arte della correzione fraterna
Parola di vescovo
AUTORE:
Gualtiero Sigismondi