L’annuncio del Vangelo è responsabilità del credente

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XV Domenica del tempo ordinario - anno B

La missione è il cuore della Chiesa. La Chiesa o è missionaria o non è Chiesa. È l’impronta che Gesù le ha dato fin dall’inizio quando chiamò i primi seguaci dicendo loro: “Vi farò diventare pescatori di uomini” (Mc 1,17). La pesca è l’immagine della missione come raccolta di nuovi credenti, un nuovo mestiere per i pescatori del Lago, una scuola di formazione che Gesù garantiva, dicendo loro: “Vi farò diventare pescatori di uomini”. Infatti lo scopo della scelta dei Dodici è così descritto: “Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,13s). Ogni rabbi ebreo raccoglieva attorno a sé discepoli da formare alla conoscenza e all’insegnamento delle Scritture. Oggi il brano del Vangelo ci presenta la prima missione dei Dodici, come prototipo della futura missione della Chiesa, della nostra missione di credenti. Tutti dovremmo sentirci coinvolti.

Siamo nel mezzo della vita pubblica di Gesù e i discepoli sono ancora poco preparati, ma Gesù non teme di mandarli, anche se immaturi, ad annunciare il Vangelo che già hanno ascoltato e veduto. Si fida di loro, del buon senso che hanno, della loro capacità di raccontare le cose che hanno visto e udito; esperienze semplici, non trattati di teologia. L’evangelizzazione è il racconto delle cose vissute accanto a Gesù, è la narrazione della sua vita e del suo insegnamento. Ogni credente dovrebbe essere capace di raccontare agli altri la propria esperienza di fede. Questo racconto semplice della vita e delle opere compiute da Gesù, i primi cristiani lo chiamavano kerygma (annuncio ad alta voce, senza vergogna). Esso risuonò solenne il giorno di Pentecoste sulle labbra dei Dodici, ma subito dopo fu gridato nella sinagoghe, nelle case, nelle vie e nelle piazze del mondo da catechisti di ogni tipo.

Quell’annuncio diventò universale e stabile quando il risorto inviò i discepoli a continuare la sua opera: “Andate in tutto il mondo e proclamate (kerycsate) il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato. Allora essi partirono e predicarono dappertutto” (Mc 16,15ss). Ci si accorse poco dopo che l’annuncio del Vangelo nel mondo, a tutte le creature, era un’opera immane, e non poteva esser portata avanti dai soli apostoli. Iniziò Stefano, uno dei sette diaconi creati per servire le mense, a sentire questa responsabilità, attirandosi la persecuzione dei giudei (At 6,8-14). Lo seguì il diacono Filippo che evangelizzò la Samaria (At 8,5-8), poi tanti cristiani anonimi: “Quelli che erano stati dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando (evangelizzando) la Parola” (At 8,4). Furono proprio loro a diffondere la fede cristiana ad Antiochia, che divenne il secondo centro di irradiazione del Vangelo dopo Gerusalemme: “Intanto quelli che erano stati dispersi a causa della persecuzione, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore” (At 11,20s).

Tutto era cominciato in quel primo giorno in Galilea, dopo il rifiuto degli abitanti di Nazareth, quando Gesù inviò la prima volta i Dodici a due e a due nei villaggi vicini, indicando loro ciò che dovevano portare con sé e come dovevano comportarsi. Il confronto con i passi paralleli di Matteo (10,7-16) e di Luca (10,2-12) dice chiaramente che le regole impartite da Gesù furono adattate alle mutate circostanze dei tempi e dei luoghi. La missione in coppia era un uso dei primi cristiani (vedi Pietro e Giovanni; Barnaba e Saulo) e rispecchia il diritto giudaico, che riteneva vera solo la testimonianza di almeno due testimoni. Ai suoi inviati Gesù comunica il suo potere esorcistico sugli spiriti impuri, un modo concreto per indicare la caratteristica della missione cristiana come liberazione dal male installato nella società pagana dominata dal Maligno (Gv 12,21). Le istruzioni rispecchiano le circostanze storiche e l’ambiente di quella prima missione cristiana.

Essa è missione itinerante lungo le strade del mondo, accanto agli uomini viandanti della vita. In questo ambiente precario, il bagaglio missionario è ridotto all’essenziale, quasi al nulla, con il solo bastone, per difendersi dai cani randagi e dagli animali selvatici che infestavano le vie, i sandali per non ferirsi i piedi sui sentieri sassosi e impervi, il mantello come unica coperta per le notti fredde. In prospettiva traspaiono già i lunghi viaggi dei missionari, come quello che Marco affrontò con suo cugino Barnaba e con Paolo (At 13,5). Matteo, che ha presenti i brevi viaggi missionari nei paesini della Galilea, consiglia di non portare né il bastone, né i sandali (Mt 10,9). In ogni caso l’esperienza aveva convinto gli annunciatori del Vangelo a saper rinunciare ad ogni esigenza anche legittima: la sacca da viaggio, il pane di riserva, le poche monete di rame che i poveri conservavano dentro la cintura avvolta ai fianchi, il vestito di ricambio.

Gesù aveva raccomandato la povertà e il distacco più assoluti, per togliere ogni sospetto di interesse o di guadagno personali. Non sopportava rumore di soldi intorno al suo Vangelo. Aveva detto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Le regole del soggiorno degli evangelizzatori tiene conto dell’ospitalità praticata nell’Oriente antico: non si doveva cambiare facilmente alloggio, per non vantare pretese e offendere il padrone di casa. Il recapito certo dei missionari era certamente un vantaggio per una giovane comunità appena fondata. Marco, a differenza di Matteo e Luca, non specifica, per esigenze di brevità, i convenevoli che accompagnavano l’ingresso nella casa: il saluto di pace, la trasmissione della pace come dono, l’accettazione del pasto offerto dalla famiglia in segno di gradita ospitalità. Ricorda però come i missionari si debbano comportare in caso di rifiuto di accoglienza: allontanarsi pacificamente e scuotere la polvere dai sandali come segno simbolico di cessato rapporto.

Ogni ebreo che tornava da un paese pagano compiva questo gesto di distacco religioso, perché era convinto che la terra partecipa del carattere della gente che la abita. Era un gesto che lo separava da un mondo non suo, che non condivideva. L’evangelista conclude dicendo che i Dodici partirono e recarono alla gente l’invito a conversione e la liberazione dal male fisico e morale. L’unzione con olio era una diffusa terapia praticata dai medici del tempo; per i primi evangelizzatori era il segno della guarigione prodotta dallo Spirito di Cristo.

AUTORE: Oscar Battaglia